Pd, l'analisi di Porco: "Manca dialogo e coinvolgimento. Basta padroni di tessere o yes man"

"E' tempo di fare chiarezza in casa PD.
Sono trascorsi oltre quaranta giorni da quel 4 marzo che ci ha visti precipitare, rovinosamente, in una sconfitta netta, e ancora continuiamo a farci del male; e ancora non avvertiamo la necessità, ormai non più rinviabile, di sentirci una "comunità".
Invece di affrontare un serio dibattito negli organismi deputati, diamo, libero sfogo alle individualità che nulla hanno di costruttivo se non quello di dare un'immagine di litigiosità e di antagonismo fine a se stesso". Lo sostiene Alessandro Porco, Direzione Regionale PD Calabria.

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"Quello che si consuma quotidianamente, da parte di eminenti rappresentanti del nostro Partito, ai vari livelli nazionale e locale i quali, di volta in volta, si alternano nei talk show e sulla stampa nazionale, sta diventando uno spettacolo non proprio edificante; e non perché gli argomenti non siano di rilievo, ma perché sarebbe molto più produttivo e meno lacerante se affrontati, nelle sedi giuste e all'interno del Partito.
Usare metodi eclatanti di denuncia da dare in pasto ai media per conquistare una propria visibilità, sa più di populismo che di reale volontà di risolvere i problemi del Paese e tutto questo non è del tutto comprensibile all'opinione pubblica che continua a guardare al PD, sì come ad una forza politica di rilievo che, però, non riesce a fare sintesi di un sentire comune.
Ma questo è solo la punta dell'iceberg.
Poniamoci, dunque, alcune domande: se il PD ha perso il contatto con il proprio elettorato, dove abbiamo sbagliato? Possiamo correggere il tiro? Abbiamo un'idea di progetto per recuperare il rapporto con i cittadini?
La verità è che il Partito Democratico soffre da più tempo di un deficit di dialogo fra classe dirigente, militanti, base e cittadino.
Negli organismi statutari, quando vengono convocati, si consumano dibattiti che hanno il sapore della retorica piuttosto che di un laboratorio dove discutere di problemi concreti, organizzativi, politici.
Gli organismi direttivi devono ritornare ad essere luoghi di dibattito franco, non solo in vista di appuntamenti congressuali, ma con sistematicità e, soprattutto, devono essere costituiti sulla base della rappresentanza territoriale e non correntizia.
Non servono ne' padroni di tessere, ne' "yes man".
Serve, invece, il coinvolgimento più ampio della classe dirigente, trovando forme più partecipate di condivisione e di ascolto soprattutto delle istituzioni locali e territoriali, che ci rappresentano, e della gente.
Si riconoscano gli errori commessi da ognuno, secondo il ruolo rivestito: quelli di non aver saputo interpretare il disagio latente della società, impegnati troppo caparbiamente, specie in quest'ultima tornata elettorale a posizionare, con un bilancino sfasato, rappresentanti non sempre condivisi dai militanti e dalla base del Partito, dando così il fianco ad una sconfitta annunciata.
Siamo il Partito Democratico, non si può scindere il sostantivo dall'aggettivo; siamo un tutt'uno.
E se crediamo ancora in questo, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, secondo il ruolo che ricopre, per recuperare il senso di comunità che ha caratterizzato il Partito Democratico sin dalle origini e praticando i valori fondanti del lavoro, dello sviluppo sostenibile, della cittadinanza e dei diritti, dell'innovazione e del merito, della laicità, della democrazia, dell'integrazione sopranazionale, della pace e della sicurezza, che sono alla base del nostro credo e del nostro essere.
Abbiamo la volontà, la consapevolezza, il senso di appartenenza per ricominciare da questa sconfitta e per ritrovare il bene comune?
Recuperiamo quello spirito di comunità nato federando le diverse anime democratiche, progressiste e cattoliche del Paese, e poniamoci l'obiettivo di riconfermare i nostri valori, diversamente siamo destinati tutti al fallimento.