Legge regionale n.4 del 2019, Coldiretti replica al consigliere regionale D'Acri

"Ci vediamo costretti, nostro malgrado, a dover ritornare sull'argomento indicato in oggetto, perché a seguito della nostra nota del 12 febbraio u.s., il consigliere Mauro D'Acri ha diffuso e inserito il 14 febbraio u.s. nella propria pagina di Facebook e pubblicato su alcune testate, alcune dichiarazioni con le quali, in buona sostanza, cerca di redarguire la Coldiretti Calabria poiché avrebbe espresso più di una perplessità e formulato alcuni rilievi critici relativamente alla legge regionale n. 4 del 2019, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Calabria e della quale è stato il proponente.
Innanzitutto, al fine di arrestare qualsiasi tentativo volto ad accreditare una ricostruzione dei fatti non rispondente alle reali intenzioni, è necessario sottolineare che Coldiretti Calabria, quale Organizzazione agricola maggiormente rappresentativa a livello regionale, ha inteso significare le proprie valutazioni esclusivamente nell'interesse delle imprese agricole associate, senza alcuna acrimonia, a differenza di quanto fatto dal consigliere regionale nel suo commento. Più precisamente, si è osservato che, al di là della intenzione (peraltro apprezzabile) di dettare una disciplina speciale volta ad introdurre (si spera) vere semplificazioni in materia igienico-sanitaria laddove siano trasformati e lavorati piccoli quantitativi di prodotti agricoli, la presenza nell'impianto normativo di vari profili di criticità rischia di compromettere, in sede di applicazione della legge in parola, il processo di modernizzazione delle attività agricole, come avviato a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 228 del 2001 con la riscrittura dello statuto della impresa agricola, nonché di pregiudicare il raggiungimento delle finalità sottese alla legge regionale stessa". E' quanto scrive nell'incipit di una lunga nota il Presidente di Coldiretti Calabria, Franco Aceto.

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"In particolare, abbiamo espresso il dubbio che alcune delle norme recate dalla legge n. 4, per come formulate, possano esorbitare dal proprio ambito di applicazione finendo per pregiudicare o limitare le potenzialità della vendita diretta dei prodotti agricoli, ponendosi, conseguentemente, in contrasto con la normativa civilistica sull'attività di impresa di cui all'articolo 2135 del codice civile e con quanto previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 228 cit. E' evidente, infatti, che in assenza di specifiche e reali "clausole di salvezza" delle disposizioni vigenti in materia di vendita diretta dei prodotti agricoli, la legge regionale n. 4 cit. paradossalmente potrebbe penalizzare le non meglio definite "piccole produzioni agricole locali" di cui all'articolo 1, le quali produzioni sono, subito dopo, individuate nei "prodotti agricoli di allevamento di esclusiva produzione aziendale": forse già gli obiettivi cui tende la legge regionale n. 4 cit. non risultano essere disciplinati con il grado di tassatività che ci si aspetta da disposizioni normative di rango primario.
Inoltre, abbiamo evidenziato che costituisce un inutile aggravio burocratico per le imprese agricole calabresi la disposizione contenuta nell'articolo 3, comma 2, laddove subordina l'esercizio dell'attività di vendita diretta alla presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), finendo così per risultare in netta antitesi con la normativa statale sulla vendita diretta dei prodotti agricoli che, come è noto, prevede l'invio di una mera comunicazione.
Sempre con riferimento all'articolo 3 abbiamo espresso un'ulteriore perplessità sul fatto che non si tiene conto che l'obbligo di registrazione (c.d. "notifica sanitaria") di cui all'articolo 6 del regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, si considera assolto dalle imprese agricole in possesso di autorizzazione o nulla osta sanitario, di registrazione, di comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività prevista per l'esercizio dell'impresa per espressa previsione dell' articolo 1-bis, comma 2, del D.L. n. 91 del 2014, conv. in legge n. 114 del 2014).
Riteniamo di aver adoperato argomentazioni di natura strettamente tecnico-giuridica utilizzando un registro linguistico del tutto consono a quelli che sono i parametri di una critica legittima e dai toni civili, a differenza del consigliere D'Acri, il quale si è abbandonato a espressioni al limite del dileggio, oltre ad impartirci, senza averle richieste, lezioni di diritto costituzionale sul riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.
Considerato che, a nostro avviso, le valutazioni critiche sopra ricordate non sono state in alcuna maniera confutate in punto di diritto dal consigliere D'Acri, parrebbe utile che lo stesso si adoperasse per chiarire l'ambito di applicazione di talune delle disposizioni contenute nella legge n. 4, ed in particolare negli articoli 1 e 3, rispetto a quanto previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 228 più volte citato.
In altri termini, ci farebbe piacere se il consigliere D'Acri fornisse il suo contributo definendo la seguente questione: tenuto conto di quanto stabilito dalla legge n. 4 cit., un imprenditore agricolo, dopo aver lavorato e trasformato le proprie produzioni, magari avvalendosi delle semplificazioni ivi previste, può vendere al dettaglio (e quindi al consumatore finale), oltre i prodotti di esclusiva produzione aziendale, anche i prodotti acquistati da terzi, nel rispetto, evidentemente, del principio della prevalenza, come previsto dall'articolo 2135 del codice civile e dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 228 del 2001?
Ed ancora, al di là delle illazioni, del tutto fuori luogo, sull'asserita volontà di Coldiretti di ritenersi l'unica depositaria di ogni valutazione ed intervento in materia di vendita diretta, facciamo notare che il consigliere D'Acri si è ben guardato dal fugare il dubbio da noi sollevato a proposito della presenza del profilo di criticità sopra rimarcato, e cioè relativamente al fatto che a carico delle imprese agricole è stato introdotto l'obbligo della notifica sanitaria, sempre e comunque: perplessità che la formulazione della disposizione regionale in questione (cfr. art. 3, comma 1) contribuisce ad alimentare avendo omesso ogni richiamo o rinvio a quanto previsto dall'articolo 1-bis del decreto legge n. 91 del 2014, convertito in legge n. 116 del 2014.
Parimenti, dobbiamo constatare come il consigliere D'Acri abbia evitato accuratamente di rispondere ai nostri ulteriori rilievi critici, e cioè di aver erroneamente subordinato l'esercizio della vendita diretta alla presentazione della SCIA in luogo di una mera comunicazione dimostrando, dispiace dirlo, di non aver letto con attenzione cosa prevede al riguardo la normativa statale di riferimento richiamata nell'articolo 3, comma 2 (cfr. art. 4 del decreto legislativo n. 228 cit.), con la conseguenza di imporre alle imprese interessate dei moduli procedurali non pertinenti e degli oneri burocratici differenti ed aggiuntivi, perché non si è voluto tenere conto della natura speciale dell'istituto della comunicazione rispetto a quello della segnalazione.
A tale ultimo riguardo, peraltro, sarebbe stato sufficiente che nel corso dell'iter di approvazione della legge si fosse proceduto alla consultazione di quello che è una sorta di "testo unico" in materia di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e cioè il decreto legislativo n. 222 del 2016 (c.d. "decreto Madia").
Con l'occasione, dato che, secondo il consigliere D'Acri, Coldiretti è incorsa in inesattezze ed errori marchiani, ci piacerebbe, che il predetto ci aiutasse a dipanare alcuni nuovi dubbi insorti dopo aver letto il testo della legge n. 4, appena entrata in vigore.
In particolare, ci permettiamo di chiedere al consigliere i seguenti chiarimenti:
- all'articolo 2 si prevede una bipartizione tra gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile ed i coltivatori diretti di cui all'articolo 2083 del codice civile: forse la legge regionale n. 4 intende intervenire nell'ambito materiale dell'ordinamento civile, riservato allo Stato, prevedendo che i piccoli imprenditori non sono imprenditori?
- chi sono "gli agricoltori iscritti alla Camera di Commercio" indicati nell'articolo 2, lettera c) della legge regionale in parola?
- quali sono le cooperative agricole di cui all'articolo 2, lett. d), delle legge regionale n. 4? Sono forse le cooperative di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 228 cit., che, essendo qualificate dalle legge imprenditori agricoli, possono come tali esercitare la vendita diretta dei prodotti agricoli?
- stante l'assenza di ogni componente definitoria, cosa deve intendersi per "piccole produzioni agricole e locali", tenuto conto che all'articolo 4 della legge regionale si parla genericamente di prodotti agricoli di esclusiva produzione aziendale senza indicare alcun parametro utile per individuare le piccole produzioni e che all'articolo 7 della medesima legge si demanda al regolamento di attuazione la definizione dei soli requisiti strutturali ed igienico-sanitari e non la individuazione dell'ambito materiale delle attività di lavorazione e trasformazione?
- quale la ratio della disposizione recata dall'articolo 4, comma 2, che recita "Sono ammessi prodotti extra aziendali, quali sale, zuccheri, olio, aceto e similari, se tradizionalmente usati a fini conservativi" (sic!) quando è pacifico che ogni impresa agricola può svolgere le attività connesse di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei propri prodotti ai sensi dell'articolo 2135, comma 3, cod. civ.? Si è voluto limitare, nell'ottica di un'ineffabile semplificazione, alle indefinite "piccole produzioni agricole e locali" la possibilità di svolgimento dell'attività agricola connessa di conservazione che la citata norma codicistica consente, già dal 2001, a tutte le imprese agricole?
Infine, riconfermiamo la disponibilità di Coldiretti, per altro sempre confermata dai fatti, a partecipare a incontri e confronti, quando invitata, per offrire un contributo. Segnaliamo, però, che per la Legge regionale n.4/2019 mai si proposta una discussione o c'è stato un confronto al tavolo tecnico e di partenariato, né tantomeno Coldiretti è stata convocata in Commissione per essere audita sull'argomento".