L’avvocato Giorgio De Stefano, “il massimo” della ‘ndrangheta

destefanogiorgio avvocato recente 500di Claudio Cordova - Il bar verrà inaugurato a metà 2014, al termine delle settimane frenetiche intercettate dagli inquirenti, e da quel momento resterà aperto, senza alcun tipo di intimidazione, fino al blitz della Squadra Mobile. Quasi basterebbe questo per comprendere il peso rivestito dall'avvocato Giorgio De Stefano all'interno della 'ndrangheta. Nelle conversazioni intercettate lo chiamano "il massimo". Lo scalino più alto della gerarchia criminale a Reggio Calabria. Per nominarlo, spesso, abbassano il tono di voce, segno di rispetto e paura, sebbene la figura sia evocata solo in sua assenza. De Stefano è stato arrestato nell'ambito dell'inchiesta "Sistema Reggio", che ad aprile ha dato il via al forcing della Dda di Reggio Calabria sulla cupola affaristico-mafiosa che da anni governerebbe la città: senza inchieste come "Sistema Reggio" e "Fata Morgana", probabilmente non potrebbe esistere quella "Mammasantissima", che ha svelato la componente occulta della 'ndrangheta, di cui farebbe parte lo stesso De Stefano, nonché l'amico e collega Paolo Romeo.

Negli scorsi mesi, il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria (Filippo Leonardo presidente, Maria Cecilia Vitolla e Angela Giunta a latere) ha confermato il carcere per l'avvocato Giorgio De Stefano. Questi da decenni entra ed esce dalle carte giudiziarie, come un'eminenza grigia, l'uomo capace di dialogare, fin dagli anni '70, con i vertici della 'ndrangheta, ma anche con soggetti istituzionali e paraistituzionali: massoneria, destra eversiva, servizi segreti deviati. Sono stati i pubblici ministeri Roberto Di Palma e Rosario Ferracane a mettere sotto la lente d'ingrandimento, a distanza di anni dalla condanna a 3 anni e 6 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito del procedimento "Olimpia", la figura dell'avvocato. E' lui il personaggio principale dell'inchiesta "Sistema Reggio", che ha svelato il controllo opprimente delle cosche di 'ndrangheta, anche per l'apertura di un bar-pasticceria nel centro cittadino. A lui si sarebbe rivolto uno degli indagati, Carmelo Giuseppe Nucera, che avrebbe dovuto aprire un bar nei locali dove, per anni, era ubicato il celebre bar Malavenda, sul ponte della Libertà, proprio all'imbocco del quartiere Santa Caterina. Ci aveva provato, pochi mesi prima, la famiglia Nicolò, notoriamente vicina agli ambienti della cosca Serraino, ma era stata ricacciata via e indotta a vendere a suon di bombe alla famiglia Stillittano, cosca dell'area Condello, che divide il rione Santa Caterina con i Franco, esponenti dell'ala De Stefano-Tegano.

Nucera si sarebbe rivolto al "massimo".

L'avvocato Giorgio De Stefano, tra gli elementi più carismatici della diplomazia 'ndranghetista. Le sanguinose guerre di 'ndrangheta e il susseguirsi di operazioni di polizia e dei conseguenti procedimenti penali hanno inciso sugli assetti dei clan reggini, oltre che sulle strategie criminali, tendendo a istituzionalizzare una strategia di evidente "sommersione". Per questo, negli ultimi anni, Reggio Calabria non ha registrato momenti conflittuali evidenti, ad eccezione di alcuni fatti di sangue inquadrabili nell'ambito di mirati "riassetti", interni alle cosche e comunque funzionali al mantenimento degli equilibri criminali ormai consolidati.

Tutto ciò grazie anche all'interlocuzione di soggetti come l'avvocato De Stefano.

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Nucera riferirà a un amico che per assicurare l'attività commerciale si era rivolto alle "Generali" ma poi, con l'intermediazione di un amico, era stato contattato dall'avvocato Giorgio De Stefano, sicché aveva ottenuto "da più parti la garanzia al mille per mille di alcune cose" tanto da rimarcare, da un lato, l'inconsistenza della minaccia degli Stillitano e, dall'altro, l'impegno diretto degli Araniti che, a loro volta, avevano manifestato un interesse personale nella nuova attività commerciale ("che resta fra noi, io avevo fatto l'assicurazione con le Generali...e poi mi ha chiamato Giorgio De Stefano, Giorgio De Stefano l'avvocato, tramite un amico per l'assicurazione...loro praticamente da più parti mi danno la garanzia al mille per mille di alcune cose, che lui (n.d.r. De Stefano Giorgio) dice che loro (n.d.r. gli Stillitano) non contano un cazzo...gli Araniti si sono presi l'impegno loro, i cosi...non ci sono problemi, non succede niente perché...l'hanno messa come se fosse una cosa che interessa a loro a livello personale."). Ma i De Stefano, come altre cosche, avrebbero preteso l'assunzione di personale ("e ora sicuramente, siccome mi ha chiamato coso, qualcuno me lo cerca pure lui e non gli posso dire di no, Giorgio De Stefano"), dal quale aveva ottenuto massima protezione per l'avvio dell'attività commerciale ("che si stiano tutti zitti ha detto"), nonché, a fronte delle titubanze espresse dall'incaricato delle Generali, la stipula dell'assicurazione con la filiale della Carige gestita dalla figlia Diana Rita classe 1972("poi mi ha detto: "...vieni da me che te la faccio io l'assicurazione"...Giorgio De Stefano"). Nel corso delle tante intercettazioni captate dalla Squadra Mobile, Nucera precisa quindi che al "massimo" esponente delle gerarchie mafiose dei De Stefano era giunto grazie all'intermediazione di un amico che aveva preso contatti direttamente con l'avvocato ("Giorgio De Stefano, ha parlato un amico, non è che lo conoscevo direttamente..."). Dal suo referente Nucera aveva avuto assicurazione di poter avviare quindi l'attività senza alcuna remora ("deve aprire, di non preoccuparsi"), dal momento che Giorgio De Stefano, definito il "massimo" ("...Penso che quello è il massimo, no?...") rappresentante della cosca De Stefano avrebbe parlato dall'alto della sua autorevolezza mafiosa sicché, in conseguenza del suo diretto intervento[ "se parla lui (n.d.r. Giorgio De Stefano" ], gli Stillittano avrebbero dovuto necessariamente piegarsi, pena gravissime conseguenze, ("perché incominciando da quello gli mettono il muso nel culo...gli mettono il muso nel culo e non parlano più!").

Proprio all'interno della filiale Carige, Nucera e l'avvocato Giorgio De Stefano avrebbero avuto un colloquio che Nucera sintetizza così al fratello: "Mi ha detto <ma tu devi essere un grande figlio di puttana>, mi ha detto". Gli ho detto <perché?>. <Tu stai facendo le cose a serrande chiuse, cioè... non si sta parlando più niente di te, tu arriverai che apri tutte le serrande, quando apri tutte le serrande, se avevano pensato di fare qualcosa non ti possono fare più niente> ha detto [omissis] ha detto: <Hai studiato la cosa giusta... non... certo occhio non vede... cioè non va nel cervello dei cristiani o no?>".

"Il massimo". Il Collegio osserva che "l'impiego della predetta espressione non è ovviamente casuale e sintetizza, in modo inequivocabile, lo spessore criminale dell'avv. Giorgio De Stefano, il quale veniva da subito individuato da Nucera Carmelo come il soggetto in grado di risolvere – ed evidentemente non per particolari attitudini nel settore delle polizze di assicurazione (svolgendo peraltro la diversa professione di avvocato) – la questione legata alla copertura assicurativa del nuovo esercizio commerciale".

Una figura ricorrente, quella dell'avvocato Giorgio De Stefano. L'unico che, per nome, storia e carisma criminale può dirimere la questione e portare a un rapido componimento dei contrasti sorti con gli Stillittano.

Un nome che Nucera spende anche parlando con Roberto Franco. Questi sarebbe il capo del rione Santa Caterina, diviso per metà tra lo schieramento dei De Stefano-Tegano (cu si riferisce proprio Franco) e per metà ai Condello, rappresentati dagli Stillittano che, dicono i due conversanti "fanno quello che vogliono". Lo stesso Franco, uomo forte della 'ndrangheta di quei luoghi, non può mettere becco perché la spartizione impone il rispetto delle decisioni altrui: "Io non gli posso dire... hai capito? Come lo stesso loro non mi possono dire a me che prendo una decisione io... non mi possono dire niente a me". Da qui, dunque, il riferimento a Giorgio De Stefano: "Io ho parlato sia con i De Stefano , sia con i Tegano" dice Roberto Franco. "L'assicurazione Giorgio me la sta facendo" replica Nucera, facendo riferimento alla figlia dell'avvocato, Diana, responsabile della filiale Carige "sua figlia mi sta facendo l'assicurazione, nonostante ha avuto la negazione della sede centrale alla precedente affermazione ... lei ha fatto la forzatura a farmi l'assicurazione al bar". Una figura – quella dell'avvocato Giorgio De Stefano - capace di incutere timore. Lo stesso Nucera bolla come voci per allarmare le minacce di morte subite e apprese dalla figlia. Proprio in virtù del personaggio interpellato, l'avvocato Giorgio De Stefano: "E' uscita questa voce, secondo me l'hanno buttata per allarmare più che altro, perché... chi si è mosso... devono solamente stare zitti".

Giorgio De Stefano è "il soggetto il quale, in forza della storica posizione apicale rivestita in seno all'organizzazione criminale è in grado di giocare un ruolo decisivo nella vicenda in esame e pertanto di garantire un rapido componimento dei contrasti sorti tra il Nucera Carmelo e i fratelli Stillittano di Vito" scrivono i giudici del Riesame.

Da "eminenza grigia" quale è considerato da decenni, De Stefano viene più volte evocato dai conversanti, come decisivo deus ex machina in una vicenda che, d'altro canto, avrebbe potuto creare ulteriori strascichi rispetto alle intimidazioni subite dal locale, ancor prima di essere aperto: "Nel caso di specie, i riferimenti operati alla figura di Giorgio De Stefano – non conversante diretto all'interno dei dialoghi captati, ma menzionato sovente con nome e cognome, da parte di altri indagati, peraltro di primo piano e direttamente coinvolti nella vicenda inerente la riapertura dell'ex bar Malavenda – appaiono puntuali, precisi e convergenti, oltre che spontanei ed assolutamente genuini, scevri da millanteria o finalità calunniose, nell'indicarlo come soggetto con indiscusso ruolo di comando all'interno della famiglia De Stefano, oltre che di altrettanto riconosciuta autorevolezza all'interno della 'ndrangheta cittadina di cui detta famiglia è, sulla base degli accertamenti giudiziari definitivi, una delle massime espressioni in termini di potere e di capacità di infiltrazione nel tessuto economico e amministrativo" è scritto nelle motivazioni che avvalorano l'inchiesta dei pm Di Palma e Ferracane e della Squadra Mobile di Reggio Calabria.

Ecco l'attività di diplomazia da parte della 'ndrangheta di rango, che ormai solo in extrema ratio decide ricorrere alle azioni violente e muscolari. La figura di De Stefano consente allo storico casato di Archi di riaffermare la propria leadership su un territorio strategico come quello di Santa Caterina. Per i giudici Giorgio De Stefano vanta "un interesse personale, a nome della cosca di cui ricopre posizione verticistica, a ricomporre lo status quo imperante sul territorio di riferimento, in ciò connotandosi il vantaggio che il De Stefano intendeva perseguire intervenendo nella questione e che esulava da ricevere eventuali compensi in denaro o assunzioni di soggetti graditi alla cosca da adibire a personale impiegato nell'attività commerciale in questione".

E sarà la stessa Diana De Stefano, a detta di Nucera, a convincersi, a seguito delle ampie rassicurazioni ricevute dal padre, dell'assenza di ulteriori concreti rischi, per un locale già danneggiato da un atto intimidatorio e interessato, alcuni giorni dopo, dalla collocazione di un nuovo ordigno: "Sì, lo so che non succede più niente" avrebbe detto la donna. Un' affermazione che già nell'ordinanza di custodia cautelare viene definita così: "Era era il portato del concreto e autorevole interessamento alla vicenda in questione da parte del padre, avv. Giorgio De Stefano, nonché consequenziale al definitivo raggiungimento di un accordo tra le varie cosche di 'ndrangheta operanti nel territorio di Santa Caterina".

Il carisma di De Stefano consente di superare l'impasse della situazione, ricomponendo i conflitti tra fazioni avverse: "De Stefano ricopre evidentemente una effettiva posizione apicale all'interno della 'ndrangheta ed è pertanto in grado di esercitare un potere di gestione e controllo di dinamiche criminali del tipo di quella in esame che, si ricorderà, coinvolgeva un'attività economica di rilievo nel territorio e nel quartiere (Santa Caterina) storicamente e a tutt'oggi controllato (anche) dalla famiglia De Stefano".

Parole, quelle dei giudici del Tribunale della Libertà, che frustrano le speranze difensive e che inquadrano l'azione di De Stefano sia inevitabile, visto il ruolo rivestito all'interno della famiglia, quella che più di tutte è riuscita, nel corso degli anni a modernizzare la 'ndrangheta, anche grazie alla capacità di fare delle relazioni il proprio fondamentale punto di forza: "Da ciò discende che l'interesse del De Stefano a intervenire nella vicenda in questione era tutt'altro che la stipula del contratto di assicurazione, appuntandosi proprio e in via principale nell'intento di ristabilire, in seno a dinamiche tipicamente 'ndranghetistiche, l'equilibrio territoriale nel quartiere strategico di Santa Caterina, funzionale a non consentire agli Stillittano/Condello di dettare legge, di dominare il controllo delle attività commerciali e quindi di assumere maggiore influenza nel controllo del territorio. E ciò poteva essere assicurato e avveniva per il tramite del soggetto collocato in posizione verticistica dell'omonima cosca, in grado di riaffermare la presenza dei De Stefano nel territorio in disamina" dicono infine i giudici del Tribunale della Libertà.