“Per sconfiggere ‘ndrangheta occorre consapevolezza del male”

pacigaetano ildispaccio500di Angela Panzera - 'Ndrangheta, politica, massoneria deviata e isis: questi sono alcuni degli argomenti di cui abbiamo parlato con il procuratore aggiunto Gaetano Paci. Dal luglio 2014 è in servizio a Reggio Calabria, dopo anni passati in Sicilia dove ha ricoperto sia le funzioni giudicanti che requirenti. Si è occupato di tantissime indagini antimafia che hanno colpito i mandamenti dei Caccamo e Villabate, solo per citarne alcuni. Ha curato la collaborazione di diversi esponenti della mafia siciliana e ha rappresentato l'accusa in dedicati processi delle cosche palermitane e del trapanese. Uno dei suoi processi "simbolo" è stato quello che ha riguardato l'omicidio del giornalista Mauro Rostagno. A Reggio Calabria per oltre un anno ha coordinato i magistrati ordinari portando a compimento diverse inchieste, tra cui quella "Erga Omnes", sullo scandalo dei rimborsi elettorali del Consiglio Regionale. Ultima in ordine cronologico quella che nel settembre scorso ha fatto luce sulle presunte violenza sessuali, perpetrate da sette ragazzi originari di Melito Porto Salvo, nei confronti di una ragazzina di solo 13 anni. Successivamente ha assunto il ruolo di coordinatore dei magistrati che si occupano della criminalità organizzata del mandamento tirrenico. Sulla sua scrivania ci sono alcuni dei più importanti fascicoli della Dda Reggina. Come diversi omicidi di 'ndrangheta, indagini sul narcotraffico e i rapporti dei clan della Piana con frange dell'Isis e con la massoneria deviata.

--banner--

Partiamo da una domanda professionale, ma anche personale: com'è svolgere l'attività di magistrato inquirente a Reggio Calabria?

"Per chi svolge il mio mestiere, lavorare alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, in questo particolare momento storico, significa fare l'esperienza in assoluto più completa ed affascinante. Non solo per ciò che può dare in termini di arricchimento professionale ma soprattutto perché il ruolo della giurisdizione, e di quelle inquirente in particolare, è fondamentale per consolidare in questa terra le ancora fragili fondamenta dello Stato di diritto. Non posso peraltro nascondere anche i rischi di questa sfida, legati non tanto all'incolumità personale quanto alle insidie che provengono da un territorio e da un ambiente spesso ostili all'esercizio della giurisdizione, perché abituati a pratiche di scambio di favori e non al rispetto delle regole e alla tutela dei diritti delle persone. In ogni caso è una scelta che consiglio tantissimo ai giovani colleghi: quattro anni a Reggio valgono almeno dieci in qualsiasi altra parte del Paese".

Lei proviene da una realtà difficile, la Sicilia, ma che, negli anni, è riuscita a trovare gli anticorpi per fronteggiare il fenomeno mafioso. Perché per la Calabria tutto questo è ancora così tanto difficile?

"Per trovare gli anticorpi occorre avere consapevolezza del male. In Sicilia le stragi hanno contribuito ad aprire gli occhi anche a chi non voleva vedere. Oggi nei provvedimenti dei giudici di Reggio si legge che gli imprenditori e gli esponenti politici ricercano la 'ndrangheta per conquistare fette di mercato o per ottenere voti. Si parla perciò di "una forza di intimidazione dolce" della 'ndrangheta la cui accettazione sociale non richiede atti di violenza. Dei tanti che subiscono sono ancora in pochi a ribellarsi. Ragioni storiche e culturali hanno sinora ostacolato il percorso di metabolizzazione del male che il sistema ndrangheta arreca alla società".

Qual è la vera forza della 'ndrangheta?

"La 'ndrangheta agisce su più livelli: assicura la mediazione tra i vari conflitti sociali, riempiendo gli spazi lasciati vuoti dalle Amministrazioni pubbliche, ma nel contempo opera sul mercato con strutture imprenditoriali all'avanguardia e di alta specializzazione tecnologica e partecipa alle competizioni politiche con il fine di conseguire quote sempre più consistenti di spesa pubblica da controllare. Insomma un sistema di potere vero e proprio che si inserisce nella tradizione storica della criminalità delle classi dirigenti del nostro Paese".

Se dovesse dare alcuni spunti per migliorare le normative e renderle più efficaci per la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, a cosa penserebbe?

"La legislazione italiana in materia di criminalità organizzata è una delle più avanzate al mondo tant'è che è stata trasfusa nella convenzione dell'Onu siglata nel 2000 a Palermo ed è valevole per tutti i Paesi. Occorrono però le risorse per farla funzionare: a Reggio come altrove mancano i funzionari amministrativi, i magistrati, le risorse economiche per gestire il personale e le strutture logistiche per lavorare. Occorrerebbe una seria depenalizzazione dei reati minori ed una drastica limitazione del giudizio di appello e di Cassazione, che andrebbero limitati a casi specifici. Inoltre occorrerà finalmente stabilire che dopo la sentenza di primo grado la prescrizione non potrà più decorrere".

Quanto conosciamo effettivamente della 'ndrangheta? La Sicilia ha avuto un collaboratore come Tommaso Buscetta che ha spalancato le porte sui segreti più inconfessabili di Cosa Nostra. Tutto questo in Calabria e per la 'ndrangheta non è ancora avvenuto.

"È noto che il fenomeno dei collaboratori di giustizia in Calabria sia stato sempre particolarmente ridotto rispetto alla Sicilia ed alla Campania a causa della fondamentale componente familistica della struttura della ndrangheta. I legami familiari o di sangue hanno anche impedito lo sviluppo delle collaborazioni ai vertici dell'organizzazione. Ciò che sappiamo della struttura e degli organigrammi dell'organizzazione lo dobbiamo essenzialmente all'attività di indagine sul territorio ed alle intercettazioni in particolare".

Sul rapporto 'ndrangheta-mafia siciliana, andando oltre i singoli episodi di collaborazione su traffici di droga e affari, è possibile ipotizzare un'alleanza più strutturata, che affondi le proprie radici nella storia d'Italia e che ne abbia condizionato il corso degli ultimi decenni? Il riferimento è agli anni di piombo e alla stagione stragista, ma non solo.

"I rapporti tra 'ndrangheta e mafia hanno avuto nel tempo un andamento dipendente dai rispettivi rapporti di forza instaurati. Abbiamo numerose sentenze definitive di cointeressenza su fatti specifici ma ancora mancano altrettante certezze sul coinvolgimento congiunto nella strategia della tensione che ha condizionato il nostro Paese. E' un tema di indagine sul quale occorrono ulteriori approfondimenti che il mio ufficio sta ancora svolgendo".

Con le ultime inchieste la Dda di Reggio Calabria ha alzato il livello sulla componente occulta della 'ndrangheta. Ha ragione il boss Mancuso: ormai non è esiste più la 'ndrangheta, ma solo la massoneria?

"Le inchieste ed i processi degli ultimi anni hanno consentito, da un lato, di ricostruire l'unitarietà della struttura dell'organizzazione e la individuazione dell'organismo di vertice, la " Provincia", cui attribuire le decisioni strategiche che impegnano l'intera organizzazione nonché il coordinamento tra le varie articolazioni territoriali. Nello stesso tempo le indagini hanno fatto emergere una dinamica evolutiva della ndrangheta che non ha precedenti in altre organizzazioni: la sua enorme disponibilità finanziaria la porta oggi necessariamente a ricercare luoghi e tempi di interrelazione con le strutture segrete della massoneria al fine di instaurare solidi legami con l'imprenditoria, la politica e le istituzioni, cosi perpetuando una tradizione di rapporti risalente al secolo scorso".

È possibile immaginare, a partire dagli anni '90, che i clan reggini possano aver usufruito di sacche di immunità e impunità concesse loro dalle istituzioni?

"L'impunità di cui ha goduto la 'ndrangheta non va circoscritta agli anni '90 nè alla componente reggina perché dalle indagini emerge che i rapporti di scambio con soggetti inseriti all'interno delle istituzioni, anche dell'apparato di contrasto, sono molto più risalenti ed abbracciano trasversalmente le articolazioni di tutti i territori".

Rapporto 'ndrangheta-politica: è sempre più stretto?

"Senza la politica la 'ndrangheta non sarebbe la potente organizzazione che oggi conosciamo. E' sufficiente ricordare che in tutte le inchieste del mio ufficio sulle locali di ndrangheta del distretto si accertano sistematicamente rapporti organici o di collusione con la politica e l'imprenditoria. E' anche vero però che senza la ndrangheta la politica sarebbe diversa: basta ricordare che nel 2010 i politici si recavano a Bovalino a casa Pelle per chiedere il sostegno elettorale, cosi come nel 2000 a Palermo il sostegno alla candidatura dell'ex Presidente della regione Cuffaro e di diversi uomini del suo schieramento politico erano stati discussi ed avallati a casa del dottore Guttadauro capo del mandamento di Brancaccio".

A proposito di politica, lo ha detto anche pubblicamente: che vergogna il fatto che la Regione non si sia costituita parte civile nel procedimento sullo scandalo dei rimborsi elettorali del Consiglio Regionale.

"È chiaro che anche la politica vive di segnali: e non costituirsi parte civile in un procedimento ove si difende l'integrità delle istituzioni consiliari regionali ed il loro bilancio, anche se si tratta di una scelta formalmente legittima, è un segnale molto negativo per l'intera comunità nazionale".

Da più parti, sempre più spesso, si associano i concetti di 'ndrangheta e terrorismo dell'Isis. Qualcuno ha paventato anche una possibile alleanza per il traffico di armi attraverso il porto di Gioia Tauro. E' un'ipotesi plausibile o parliamo di fantascienza?

"Da tempo si parla di rapporti tra Isis e ndrangheta. Rapporti che è logico ipotizzare in considerazione del ruolo strategico che sul mediterraneo svolge la ndrangheta nei traffici internazionali. Oggi, grazie anche a coraggiose inchieste giornalistiche, ci troviamo di fronte ad ipotesi ancora più concrete sulle quali il mio ufficio sta svolgendo tutti gli approfondimenti".

La magistratura ce la farà da "sola" a fronteggiare questo binomio criminale?

"Il ruolo della magistratura è fondamentale per squarciare il velo dei rapporti inconfessabili tra ndrangheta e politica ed istituzioni. Ma dopo la repressione occorre la ribellione delle coscienze. E senza lotta di popolo, come insegnava Pio La Torre, la mafia non si sconfiggerà mai".