Il pentito Virgiglio: “In mano a Gelli bella parte del potere occulto italiano”

gelliliciodi Claudio Cordova - Tra i collaboratori di giustizia che dovranno deporre nel processo "Gotha", Cosimo Virgiglio sembra senza dubbio il più esperto di dinamiche massoniche. Entra infatti in contatto con grembiulini e cappucci già negli anni '90, ai tempi dell'università a Messina. Una decina d'anni fa viene coinvolto e condannato nell'ambito del processo "Maestro", per i traffici della famiglia Molè nel porto di Gioia Tauro. In mezzo, però, tanta massoneria pesante. Già nel 1995, Virgiglio entra in contatto con l'allora presidente della Roma, Franco Sensi, oggi deceduto, ma ben inserito nei circuiti massonici: "Vengo a essere preso nelle grazie, tra virgolette, di Franco Sensi, che all'epoca in Calabria lui aveva un grande interesse, quello di selezionare quelli che erano i suoi depositi di idrocarburi sul porto di Vibo e portarseli anche su Gioia Tauro, che poi, su mia insistenza, gli dissi di non venire perché doveva passare tramite l'avallo della criminalità organizzata, ma lui mi sembrava determinato, anche perché già aveva trovato un avallo a Vibo, con altre famiglie... e lui mi disse: "ti devo portare a Roma", cioè il Santo Sepolcro a Roma".

E così la consacrazione alla fratellanza massonica avviene all'interno del Vaticano: "Lì conosco il mondo sotterraneo, il vero potere, la persona chiave che era Nino Gangemi" afferma Virgiglio menzionando il nipote di Nino Molè. Ai pm della Dda Giuseppe Lombardo, Stefano Musolino e Walter Ignazitto, Virgiglio apre mondi sommersi che potranno tornare molto utili nel procedimento alla masso-'ndrangheta reggina: "Quando io parlo di massoneria non parlo di GOI o di Gran Loggia, o di Garibaldini... o delle varie obbedienze, parliamo di massoneria per parlare del mondo di potere, quindi... in questo mondo di potere, all'epoca, faceva parte una fascia dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro", dove a capo c'era il vescovo Montezemolo, che era intimo amico del grande Ugolini, Giacomo Maria Ugolini, l'ambasciatore di San Marino, nonché gran maestro della Loggia di San Marino, nonché grande capo della loggia Titano, la discussa Montecarlo".

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Nel 2002-2003, Virgiglio entra nella massoneria regolare di Vibo Valentia, una delle più strutturate: "Ci si lega, in questi sistemi, ad una forma di giuramento, ma non è un giuramento come lo si pensa, è una forma di timore, perché nella ritualità si dice... si viene prima bendati, poi si toglie la benda, dopo le ore di riflessione e gli si dice: "tutti quelli che ora sono bendati, ti hanno conosciuto, ora tu ti bendi e loro tolgono le buffe, e sappi che loro daranno la loro vita per proteggerti, aiutarti ed esserti fratello, allo stesso modo diventeranno cattivi contro di te". Quindi è quella forma... un po' diciamo è come quel senso di iniziazione che viene fatta nelle attività criminali, ok? Quando c'è il santino che si brucia, alla fine è questo, se sbagli... e la massoneria aveva lo stesso sistema".

Ma la scalata continua a così l'ingresso nei Templari nel 2007: "I Templari era uno tra i momenti più importanti, di cui all'epoca anche Licio Gelli voleva assolutissimamente essere partecipe, per il concetto finale del riciclaggio dei denari". Licio Gelli. Il "Venerabile" della P2 al centro dei più loschi affari italiani: "Gelli... l'unica persona a cui Gelli onestamente dava riferimento, cioè aveva dato il potere... io parlo quando a Gelli lo incontrai a Frosinone, ai tempi di Franco Sensi, era Antonio Campana di Cosenza".

Soggetto fondamentale, Campana, che, a detta di Virgiglio controllava su tutta la Calabria. Qui, il Gran Maestro dei Templari era il medico Franco Labate: "Aveva ricevuto, quando quasi morente, diciamo un fee di ingresso a Villa Wanda dal vecchio defunto Peppino Piromalli, tramite il nipote di Peppino Piromalli, cioè Luigi Sorridente, nonché cugino pure di Rocco Molè". Soggetto spregiudicato e ambizioso, Labate sarebbe stato sostenuto dai Barbaro di Platì: "Scalpitava per entrare nel sistema di potere".

Un sistema di potere su cui aleggia sempre e comunque il ruolo della massoneria: "Gelli non ha mai smesso, neanche oggi ha mai smesso, con tutto che è morto... di gestire una bella parte del potere occulto nel nostro bel Paese". Al di là della P2. Labate voleva prendere il posto di Gelli, si puntava al Vaticano, affinchè fossero vaticanizzati i massoni e la Chiesa li riconoscesse.

Così, dunque, la 'ndrangheta entra nella massoneria e, in particolare, nei Templari, per riciclare soldi. La finanza, secondo Virgiglio, "voleva assicurarsi sempre lo stesso potere, e per farlo aveva bisogno della politica, per assicurarsi aveva bisogno del flusso elettorale e quindi questo era il sistema. Alla 'ndrangheta non interessava altro che mettere da parte i propri soldi, tanto dice: "gli arresti prima o poi arrivano sempre..., quindi sappiamo sempre che qualcuno deve pagare, quantomeno mettiamo da parte i soldi..." e questo era il sistema".

Interessantissimo, poi, il passaggio con cui Virgiglio descrive la differenza tra le logge ufficiali e quelle coperte e i modi per far entrare mafiosi e 'ndranghetisti: "Quella legalizzata, cioè quella che rispettava l'articolo di legge, la cosiddetta legge Anselmi, ed era diciamo, io, dottori, medici, avvocati, insomma che ne facevano parte... poi c'erano i sussurrati all'orecchio che erano coloro i quali, per determinate ragioni, tipo lei che è magistrato, lei che è presidente della Regione, lei che non è bello che... allora "sussurrati all'orecchio" del serenissimo gran maestro, non del maestro venerabile, del serenissimo gran maestro. Poi ci sono i consacrati con la spada che sono quelli che si diceva "per la grande conoscenza del Vangelo di Giovanni etc, etc... tu sei meritevole, però non puoi far parte perché la giustizia del luogo ti ha messo nella lista nera..." e qui ecco che entrano coloro i quali oggi sono definiti mafiosi, ndranghetisti, ecc. "

Il massimo, a livello massonico, sarebbe stato rappresentato da Ugolini, con cui Virgiglio vanta un rapporto particolare, tanto da conoscerne diversi segreti: "Ugolini diceva una cosa sola all'epoca: che lui si fidava solo... a Reggio lui si fidava solo dei Morabito", de "il medico", che era figlio o nipote del Tiradritto". Immancabile, come peraltro nelle dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia, il riferimenti ai giudici e, in particolare a Giuseppe Tuccio, imputato nel procedimento "Gotha": "Tuccio, si era messo anche in politica, e fu sponsorizzato da tutte le obbedienze e guai a chi non votava, si diceva...".

Il riferimento a Tuccio e alla magistratura è lo spunto per raccontare le ingerenze sulle toghe. Virgiglio fa anche riferimento al tentativo (senza alcun successo) di avvicinare il giudice Musolino che lo sta interrogando, tramite un oscuro comandante dei vigili urbani di Reggio Calabria, che avrebbe svolto un ruolo molto importante: "Il Comandante dei Vigili Urbani, che era colui che aveva le entrature e voleva arrivare anche al dottore, all'epoca quando era a Misure di Prevenzione". Virgiglio narra infine di un processo aggiustato in Appello, in cui Rocco Molè avrebbe dovuto beccarsi l'ergastolo, ma finirà condannato a 8-9 anni, grazie all'intervento di Pino Speranza, storico uomo del clan: "Era la Loggia madre che gestiva tutta la situazione [...] Speranza aveva come riferimento un comandante dei vigili".