Caso Moro: l’ombra lunga della ‘ndrangheta su uno dei misteri d’Italia

via fanidi Claudio Cordova - Fa parte di quel contesto oscuro che nasce negli anni '70 – e forse anche precedentemente – che segna il legame inscindibile tra 'ndrangheta e pezzi deviati dello Stato. Un contesto sul quale difficilmente, soprattutto dopo così tanti anni, si potrà arrivare a una compiuta verità. Ci si dovrà accontentare di frammenti di luce, spiragli, collegamenti logici che lasciano immaginare come la criminalità organizzata calabrese sia stata capace di entrare nelle vicende più torbide della storia d'Italia.

L'ultimo squarcio di luce arriva dal primo documento di bilancio dopo un anno di lavoro della Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.

Un documento che mette in discussione diverse "versioni ufficiali" circa il rapimento del leader della Democrazia Cristiana, avvenuto nel marzo del 1978, e che alimenta i sospetti circa il coinvolgimento della 'ndrangheta in uno degli attacchi più incisivi allo Stato, nonché uno dei fatti più oscuri del Paese. La commissione presieduta da Beppe Fiorini, del Partito Democratico, sta battendo la pista dei rapporti tra Br e 'ndrangheta sulla base di vecchie dichiarazioni del pentito Morabito e di alcune allusioni fatte da Raffaele Cutolo sulle armi utilizzate in via Fani - e non solo- e che provenivano dall'organizzazione criminalità calabrese.

Intrighi su cui si poggiano circa quarant'anni di storia italiana.

La Commissione sta provando a mettere in fila fatti in parte noti, ma da sempre sottovalutati. E non è la prima volta che viene tirato in ballo il ruolo della 'ndrangheta. Come quella telefonata intercettata nel 1978 tra il segretario di Aldo Moro, Sereno Freato, e Benito Cazora, deputato della Democrazia Cristiana, secondo alcune ricostruzioni incaricato di tenere i rapporti con la malavita calabrese, avvenuta otto giorni prima della morte di Moro, nella quale Freato cerca di avere notizie sulla prigione di Moro. Dall'intercettazione risulterebbe che la 'ndrangheta aveva a disposizione alcune foto di via Fani (forse quelle relative al rullino sparito o delle loro copie) e che in una di queste vi fosse "un personaggio noto a loro".

Cazora, siciliano di nascita e romano di adozione, morirà nel 1999.

Secondo quanto riferito nel 1991 da Cazora sarebbero stati alcuni esponenti della 'ndrangheta, in stato di soggiorno obbligato, ad offrire ad alcuni esponenti della DC la propria collaborazione per individuare il luogo della prigionia di Moro, in cambio della possibilità di riottenere la libertà di movimento.

Una collaborazione che, comunque, non si sarebbe concretizzata.

Eppure sono in tanti a pensare che il covo di Gradoli a Roma, utilizzato da Mario Moretti e da Barbara Balzerani per la prigionia di Aldo Moro fosse noto da tempo sia alle istituzioni sia alla 'ndrangheta,

Verrà inoltre prospettata la possibilità che uomini della 'ndrangheta fossero coinvolti nell'agguato di via Fani e nel sequestro. E, infatti, tra le piste battute dalla Commissione presieduta da Beppe Fioroni vi sono anche le dichiarazioni rese nel 1992 dal collaboratore di giustizia Saverio Morabito. Questi dichiarerà che in via Fani sarebbe stato presente anche Antonio Nirta, detto "due nasi". appartenente alla mafia calabrese e infiltrato nel gruppo brigatista. Secondo Morabito inoltre Nirta sarebbe stato anche un confidente dei carabinieri in contatto con il capitano Francesco Delfino; egli avrebbe acquisito queste informazioni nel 1987 e nel 1990 da due malavitosi, Paolo Sergi e Domenico Papalia. Sia Delfino sia Nirta hanno decisamente smentito queste affermazioni. Sarà lo stesso magistrato che si occuperà delle indagini a raccontare qualcosa in più, audito negli scorsi anni: "[...] io ho approfittato del fatto che in quel momento si stesse parlando della presenza addirittura di un uomo della 'ndrangheta, un certo Antonio Nirta, in via Fani. Ci era giunta da Milano la dichiarazione di un certo Morabito, il quale aveva detto che in via Fani c'era un uomo della 'ndrangheta che aveva partecipato insieme con i brigatisti all'agguato. Naturalmente, è stata una notizia che ha fatto scalpore, anche all'interno della compagine brigatista, soprattutto all'interno di coloro che stavano in carcere. Io sono andato in tutte le carceri, tra cui Opera, e sono andato tre volte da Moretti, il quale mi ha sbeffeggiato, naturalmente. Ha detto che io ero un provocatore e mi ha chiesto come mi permettessi di andare a dire che avevano fatto l'operazione Moro insieme a uno della 'ndrangheta, a un certo Antonio Nirta. Sono andato a sentire la Balzerani e tutti coloro che avevano partecipato all'agguato di via Fani, eccetto naturalmente Casimirri, che ormai si era rifugiato all'estero ed eccetto Lojacono, che non ha mai voluto parlare e che stava in Svizzera. Li ho provocati e ho detto: "Voi dite così, ma perché non lo venite a dire in aula ? Perché non lo venite a dire davanti a una Corte d'assise composta da giudici popolari, che emettono le sentenze in nome del popolo italiano ? Perché non venite a dire che voi avete agito da soli, che tra voi non c'erano infiltrazioni, che voi siete "illibati" come dite ?" Ho detto questo alla Balzerani, alla Braghetti, allo stesso Moretti, a Bonisoli. Purtroppo, non abbiamo avuto l'adesione di tutti a questo mio "richiamo", però abbiamo avuto quella di due persone importantissime, la Balzerani e la Braghetti. La Balzerani, per la prima volta, nel processo del Moro-quater è venuta in un'aula di giustizia e ha raccontato anche la dinamica dell'agguato di via Fani".

Morabito, peraltro, sarà anche audito negli scorsi anni dalla Commissione Stragi. Ecco qualche stralcio: "La testimonianza di Saverio Morabito sulla presenza in via Fani di un elemento di spicco della 'ndrangheta calabrese, Antonio Nirta. Verso la fine del 1992 Saverio Morabito, uomo di punta della 'ndrangheta, decideva di collaborare con la giustizia e veniva pertanto interrogato nel carcere di Bergamo, dal sostituto procuratore della repubblica di Milano Alberto Nobili. Morabito (la cui attendibilità è supportata dall'avere egli consentito, con le sue dichiarazioni, il successo dell'operazione "Nord-Sud", che ha portato all'esecuzione di centoquaranta arresti) ha fornito un apporto collaborativo che riempie diverse centinaia di pagine, largamente incentrate su episodi di criminalità comune, ma che su un punto interessa le problematiche su cui la Commissione è impegnata. "Non è certo un caso – dichiara il Morabito – che taluni dei membri di maggior spicco della "ndrangheta" si dice siano inseriti nella massoneria ufficiale, come ad esempio la famiglia Nirta di San Luca, facente capo a Giuseppe e Francesco Nirta e che annovera Antonio Nirta, detto "due nasi" data la sua predilezione per la doppietta che, in Calabria, viene appunto denominata "due nasi". Di Antonio Nirta avrò modo di parlare così come del suo doppio ruolo, dato che ritengo sia persona che abbia ruotato in ambiti contrapposti e cioè che abbia avuto anche contatti con la Polizia o con i servizi segreti. Potrà sembrare non credibile ma appresi da Papalia Domenico e da Sergi Paolo, come dirò, che il Nirta Antonio fu uno degli esecutori materiali del sequestro dell'onorevole Aldo Moro".

Per Morabito, "due nasi" sarebbe tra "quelli che hanno operato materialmente in via Fani cioè non so se abbia preso parte al rapimento materiale o è stato uno di quelli che sparava; l'ho appreso nel 1988 o '87 da Paolo Sergi fratello di Sergi Francesco, perché ormai era divulgata la notizia che Antonio Nirta era un delatore un confidente dei Carabinieri e dei Servizi e via dicendo, ormai era così sputtanata la cosa che dire una cosa in più o dire un suo segreto ormai non era più un segreto". Dichiarazioni da "Romanzo Criminale", quelle di Morabito: "Secondo me anche il Papalia Domenico o altri come lui qui vogliono far credere di essere dalla parte della malavita pura, ognuno all'insaputa dell'altro ha dei contatti con personaggi che gravitano nei servizi o nella Criminalpol, o nella Questura e nei Carabinieri, ognuno la fa all'insaputa dell'altro, naturalmente agli occhi dei gregari ognuno cerca di dare di sé una facciata pulita, parla male dell'altro, parla male di quell'altro, perciò per Papalia Domenico sapere da Antonio Nirta che lui avrebbe preso parte al rapimento Moro non credo che Papalia Domenico si sia stupito più di tanto".

Ma le sue dichiarazioni verranno ritenute "non ancora supportate da adeguati riscontri". Ora la Commissione di Beppe Fioroni è alla ricerca proprio di quegli "adeguati riscontri".