“Direttore, le spiego le ragioni del ‘manifesto’ per Reggio Calabria”

bombinogiuseppe21aprdi Giuseppe Bombino* - Stimato Direttore,

nel Suo articolo dal titolo Reggio, se gli Ordini Professionali si "iscrivono" al Partito Democratico... (leggi articolo), apparso il 14 aprile 2016, Lei, ricordando il cosiddetto "manifesto" da me promosso nelle settimane antecedenti lo scioglimento del Comune di Reggio Calabria, cita la mia persona quale termine deteriore di un sillogismo volto ad evidenziare una condizione di dipendenza culturale e intellettuale, di subalternità "al potere politico e non solo ...", collocandomi, con tale assunto, in quella "certa borghesia" prostrata allo scopellitismo e al "Modello Reggio".

Sono certo che la forma dell'argomentazione da Lei utilizzata per comporre la proposizione dichiarativa del sillogismo non renda la pienezza del Suo pensiero, non foss'altro pel fatto che nulla Lei conosce di me. Se così non fosse, il teorema secondo cui la mia presunta subalternità non sarebbe da ascriversi solo al "potere politico", ma anche ad altro, assumerebbe carattere diffamatorio la cui rilevanza sposterebbe ad altra sede questa discussione. Ma, essendo a tutti noti il rigore e la professionalità che caratterizzano la Sua opera, mi persuado che la sintassi del periodo abbia tradito le relazioni che intercorrono tra le proposizioni che lo compongono.

Reputo che la questione dello scioglimento del Comune di Reggio si comprenderà meglio (qualora per taluni non fosse già chiaro) quando saranno cessate le oscillazioni ideologiche e le posizioni radicaleggianti, e s'aprirà agli occhi, finalmente, la prospettiva storiografica. L'unico dato certo che ci viene consegnato, come peraltro dichiarato da numerose e qualificate personalità istituzionali, è il pressoché unanime convincimento che il portato normativo sullo scioglimento dei Comuni richiede una urgente e profonda correzione, poiché ritenuto inefficace e, per molti versi, lesivo dei principi democratici.

Ci vorrà ancora del tempo, stimato Direttore; perché tali processi sono profondi e densi, e occorre scavare negli abissi delle coscienze e nelle altezze del pensiero per poterli leggere compiutamente. Si pensi, ad esempio, come a distanza di molti decenni non siano del tutto unificanti le ragioni della rivolta di Reggio, talmente restano, ancora oggi, piegate ad accomodamenti e rivendicazioni, a demagogie e manipolazioni, a rigurgiti nostalgici e tentativi di assoluzione. Ma è troppo vasto e complesso l'argomento per poterlo trattare in poche righe.

Vorrei, invece, tornare a noi, e, più in particolare, alle ragioni che mi indussero a scrivere quel documento che Lei definisce ingiustamente "boutade". E' utile ricordare che diversi mesi prima della nascita del "manifesto", avevo promosso una serie di incontri culturali finalizzati ad esaltare gli attestati della millenaria storia della nostra città, invitando, nelle diverse occasioni, relatori di chiara fama.

Ed è proprio nel seno di questa attività di valorizzazione della nostra identità storica e culturale che si inserì la nascita del "manifesto", quando ormai, da più parti, si auspicava che il Comune di Reggio venisse sciolto.

Credevo che ogni danno per Reggio sarebbe stato un danno a tutti i reggini, compresi quelli che non lo avevano provocato e non lo meritavano; pensavo che lo scioglimento di Reggio avrebbe comportato una diminuzione della sua esistenza, della sua civiltà, della sua libertà.

Non mi addentrai nel campo della giurisprudenza; ritenni, tuttavia, che adottare un metodo eccessivo per un obiettivo d'ordine di gran lunga inferiore avrebbe significato progettare soltanto una eredità di problemi di fronte ai quali occorreva, per l'avvenire, lottare su basi totalmente nuove e in condizioni ben peggiori di quelle che pensavamo di risolvere annullando l'Organo Collegiale Comunale nel suo complesso.

Sapevo che noi stessi siamo responsabili della storia che formeremo; comprendevo che considerare lo scioglimento come l'unica via per risolvere i problemi, avrebbe appesantito gli aspetti della vita di domani.

E, pensando a Reggio, non potevo non pensare alle irripetibili opportunità che la storia si apprestava a consegnare alla nostra città, nella prospettiva dell'Italia, del Mediterraneo e dell'Europa, in cui Reggio avrebbe interpretato il ruolo primario di Città Metropolitana; e a come questo processo grandioso, che si appella alla unitarietà di azioni e obiettivi, rischiava di scomporsi e decomporsi nei vortici mediatici e sensazionalistici, tanto inutili quanto la grandine a primavera che annienta il lavoro, la fatica e la speranza di chi attende il raccolto.

Comprendevo che occorresse, invece, muoversi sul piano dell'intelligenza, nella trasposizione necessaria al cammino più autentico e vero della storia che ci attende, rispetto a cui sentivo la sproporzione di un provvedimento troppo severo, quale poi s'è rivelato.

Furono questi e soltanto questi i sentimenti che animarono il mio agire, del quale ricordo la serena spontaneità e l'autentica iniziale solitudine.

Le successive strumentalizzazioni non ci appassionarono e non ci appassionano ancora oggi, perché la verità è altra cosa e l'ideale che la ricercò fu antecedente alle facili azioni indagatorie e alle analisi fenomenologiche.

Ma nel Suo sillogismo, caro Direttore, vi è qualcosa di più scoraggiante che travalica la sensibilità del singolo e il sentimento soggettivo, per trascendere in una pericolosa deriva culturale, in una legge universale che rischia di intrappolare uomini e idee, i pensieri, e quella religiosità della vita che vorremmo muovesse la coscienza di ogni singolo cittadino: il timore, cioè, che esprimere una posizione, per fede o per passione, sospinta da una idea o sorretta da un legittimo principio, possa significare vedersi collocati in una condizione di dipendenza culturale e intellettuale, di subalternità "al potere politico e non solo ...", e ritrovarsi in quella "certa borghesia" prostrata al potente di turno.

Ritengo che tale evenienza non agevoli l'emersione di quella coscienza civile che dovrebbe edificare lo spirito collettivo e critico della Nostra Città. La libertà di espressione del singolo non può e non deve essere mutilata nella propria dignità e rilevanza, o peggio ascritta ad altrui convenienze, poiché la sua portata deve poter avere pari dignità e diritto di quella che convenientemente viene titolata come libertà di stampa. Sarebbe come ammettere che l'attività giornalistica risponda all'ordine di una occulta regia che ne suggerisca l'orientamento e la direzione non già per rappresentare la verità dei fatti ma per colpire questo o quell'altro obiettivo.

*Presidente Parco Nazionale dell'Aspromonte