Niente lacrime di coccodrillo sulla giustizia reggina. Si battano i pugni a Roma

reggiocortedappellodi Claudio Cordova - Capita spesso di criticare professionisti che non fanno fino in fondo il proprio dovere. Così come, da sempre, la politica viene inchiodata alle proprie inadempienze, che condizionano e frenano lo sviluppo del territorio. Non chieda clemenza, allora, la magistratura reggina circa il mancato deposito della sentenza "Cosa Mia", che ha provocato la scarcerazione di tre personaggi assai in vista nell'organigramma delle cosche della Piana di Gioia Tauro.

Non lo faccia per coerenza. Non lo faccia per chi, giorno dopo giorno, su territori difficili subisce lo strapotere della 'ndrangheta. Non avremmo mai voluto leggere la nota dell'Associazione Nazionale Magistrati, che esprime solidarietà al giudice Stefania Di Rienzo, la togata che, da circa un anno, non deposita le motivazioni del procedimento che ha inchiodato le cosche Gallico e Bruzzise e le infiltrazioni – macchiate di sangue – nei lavori della A3. Non avremmo voluto ascoltare le parole del presidente della Corte d'Appello, Luciano Gerardis, che specifica più volte di non voler giustificare la collega, ma che subito prima e subito dopo fa esattamente l'opposto.

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Il giudice Di Rienzo non ha scuse. Come non hanno scuse altri professionisti che non onorano la propria professionalità o politici che non risolvono tempestivamente problemi e disservizi per la collettività.

Ogni giorno – anche a costo di passare per organi di informazione al servizio delle toghe – non ci esimiamo dal sottolineare le difficili condizioni in cui si muove il sistema giustizia a Reggio Calabria e in provincia. Dalla carenza di organici, passando per i salti mortali del personale amministrativo, spesso costretto a lavorare con computer obsoleti, fino ad arrivare alle condizioni in cui si trovano molte aule di giustizia, sporche e prive di aria condizionata, indispensabile per svolgere con decoro le udienze nella stagione estiva. Tutte queste cose che – parimenti, rispetto ai meriti della magistratura sul territorio – abbiamo più volte sottolineato non cancellano il fatto che il giudice Di Rienzo avrebbe dovuto depositare una sentenza e non l'ha fatto. E che tre pericolosi criminali sono usciti dal carcere e non avrebbero dovuto: Salvatore Morgante (condannato a 16 anni di carcere), Antonino Ciappina (condannato a 11 anni) e Maria Carmela Surace (condannata a 12 anni e 3 mesi di reclusione).

E questo, un territorio come quello reggino non se lo può permettere. Non solo per il dato in sé, la presenza in giro per le strade di persone che dovrebbero abitare le patrie galere. Ma anche per il messaggio che si lancia a un'area già fiaccata da 'ndrangheta e malaffare e poco incline alla fiducia nelle Istituzioni. Con questo, non considerando la magistratura una categoria eletta, non diciamo che non possano accadere errori o imprecisioni. Chiediamo solo che, come spesso si chiede mea culpa a medici, avvocati, commercialisti, imprenditori, politici, ecc. si abbiano umiltà e coerenza per ammettere l'errore e chiedere scusa alla cittadinanza.

Anche perché gli stipendi dei magistrati sono pagati con soldi pubblici.

Quelle che dicono il presidente Gerardis e l'Anm sono circostanze vere. Anzi, verissime. Ma non sollevano un problema contingente. Ma un dramma strutturale su cui si dovrebbe incidere e insistere a Roma. Pensare di sconfiggere la 'ndrangheta con i pochi mezzi a disposizione della magistratura reggina equivale a credere di poter svuotare il mare con un cucchiaino. Senza contare, inoltre, le scarse risorse che vengono messe a disposizione delle forze dell'ordine. Ed è parimenti impensabile di poter ottenere dal Ministero della Giustizia l'attenzione che il territorio merita chiedendo in punta di piedi, quasi a mò di cortesia, di completare gli organici, di ampliare le piante organiche e, più in generale, di far funzionare la giustizia su un territorio, quello reggino, che ne ha infinito bisogno.

La vicenda "Cosa Mia"-Di Rienzo deve essere da monito per ottenere ciò che il territorio necessita. E non con le classiche relazioni ingessate all'inaugurazione dell'anno giudiziario, ma tramite un forcing costante presso gli uffici competenti romani. La rabbia, le toghe reggine, dovrebbero manifestarla verso chi le denigra e non le mette nelle condizioni di lavorare al meglio, esponendole a rischi ed errori. Non verso la stampa, che rappresenta, come al solito, l'anello debole di ogni catena. Dispiace per il giudice Di Rienzo, che sicuramente – al pari della maggior parte dei suoi colleghi reggini – svolge con costanza e serietà il proprio ruolo. Ma parlare, di fatto, di gogna mediatica somiglia tanto a una difesa corporativa, su cui la magistratura non deve cadere, anche per non somigliare troppo alla politica. E, quel che è più grave ancora, allontana i cittadini da un presidio di legalità come le toghe.

"Tutti gli afflitti sperano nella giustizia, tutti ne sono assetati" sosteneva Piero Calamandrei. Ma, c'è da chiedersi, se lo Stato non dà risposte e, quando sbaglia, non chiede scusa. Questi assetati, in terra di 'ndrangheta, tra le braccia di chi andranno a finire?

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La solidarietà dell'Anm: http://ildispaccio.it/reggio-calabria/112554-scarcerazione-condannati-processo-cosa-mia-l-anm-vicina-alla-collega-di-rienzo-carichi-di-lavoro-inaccettabili

Le parole di Gerardis: http://ildispaccio.it/primo-piano/112612-scarcerazioni-cosa-mia-gerardis-ritardo-c-e-ma-condizioni-sono-insostenibili