Prevenzione. Prima che per la Calabria sia troppo tardi

classificazionesismicaitaliadi Claudio Cordova - Da sempre, l'Italia è un Paese che vive sull'onda delle emergenze. Dalle "micro" (qualcuno ricorderà il parlare sull'obbligo delle museruole ai cani, alcuni anni fa) alle "macro" (le contromisure legislative per fronteggiare la dilagante corruzione nelle pubbliche amministrazioni). La tragedia che ha investito alcuni giorni fa il centro Italia, con un terremoto che ha causato la morte di decine di persone ha riportato nuovamente in agenda il tema della prevenzione dei rischi sismici su un territorio, quello italiano, che in varie sue zone, presenta altissime pericolosità.

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Tra queste la Calabria.

Quello regionale, infatti, è uno dei territori maggiormente a rischio in quanto a sismicità. Una polveriera pronta a esplodere e che, con i danni che una catastrofe potrebbe causare, potrebbe piombare in una condizione di ulteriore, drammatica arretratezza rispetto a quella già grave in cui ci troviamo. Banale, ma doveroso, ricordare, i grandi terremoti: da quello, storico per la sua tragicità, che ha investito Reggio Calabria e Messina nel 1908, a quello più recente che ha interessato il Pollino. Più di altre zone d'Italia, peraltro, la Calabria deve pagare dazio rispetto allo scempio che, nel giro di diversi lustri, è stato fatto del territorio. Un dissesto idrogeologico che raggiunge proporzioni catastrofiche, come ci ricordano ciclicamente i rapporti di Legambiente, ma anche le piogge autunnali e invernali, che con cadenza praticamente annuale, lasciano alle spalle fango, distruzione e, purtroppo, spesso anche delle vittime.

Pur essendovi diverse avvisaglie, ormai è un dato acclarato che i terremoti non possano essere previsti. Eppure, ogni volta che un'area viene investita da un grande sisma, le stucchevoli domande su come la tecnologia non abbia ancora assunto il ruolo di sfera di cristallo si sprecano. Non si può. Punto. E' bene farsene una ragione e intervenire, invece, dove si può fare molto, visto il grado zero in cui si trovano gli enti e le amministrazioni pubbliche.

Il prefisso è identico: pre-. Non previsione, bensì, prevenzione.

Allo stato attuale, il livello culturale per fronteggiare grandi emergenze come quelle scaturite in questi giorni nel centro Italia è pari allo zero. Perché, nonostante gli annunci-spot, che di tanto in tanto vengono propinati agli organi di stampa, poco o nulla si è fatto per porre rimedio al dilagante dissesto idrogeologico che interessa la Calabria. E in questo, ovviamente, le responsabilità maggiori vanno in capo alla Regione Calabria, ma anche i comuni, negli anni, hanno avallato scempi edilizi che affiorano a ogni emergenza ambientale. Quasi nulla si è fatto per contrastare l'abusivismo edilizio, con costruzioni che sembrano fatte di carta velina e che, per di più, spesso sorgono in bilico su montagne e torrenti. I palazzi costruiti prima del varo della legge sismica – e sono la maggior parte – sono i più insicuri perché il cemento armato con cui si costruiva negli anni '70 con il passare del tempo perde le proprie potenzialità e quindi le proprie qualità.

Poco o nulla si è investito sulla cultura della prevenzione. Certo, l'Italia (e men che meno la Calabria) possono essere paragonati al Giappone, il Paese che più al mondo vive nel costante terrore di terremoti catastrofici, ma qui siamo all'anno zero. Se i governi nipponici possono vantare risorse economiche che quelli italiani non possono nemmeno immaginare (anche per sprechi e ruberie perpetrate negli anni), il colosso orientale ha dimostrato di volersi opporre con efficacia agli eventi della natura: e così ha investito ingenti risorse sulla messa a norma degli edifici, ma ha investito – e questa è la parte meno dispendiosa, ma parimenti utile – tanto in termini culturali perché i terremoti non possono essere previsti, ma da essi ci si può difendere.

In Italia non ci si è mossi né in un verso, né nell'altro.

E così sono assolutamente impreparati gli amministratori locali che, quindi, difficilmente potranno agire con politiche illuminate sotto il profilo geologico e ambientale. Prendiamo, per esempio, Reggio Calabria che, come è noto, è una delle realtà più a rischio dell'intera Penisola. Perché il Comune, a fronte di tante spese spesso inutili, non si è dotato di un geologo che, possibilmente, non diventi uno "yes man" dell'Amministrazione, ma che ne orienti, secondo criteri coerenti e rispettosi le scelte future e la aiuti a correggere errori (e disastri) commessi dai predecessori? Sono ignoranti le aziende, che quasi sempre non sono in grado di costruire a regola d'arte e che, anche quando potrebbero, spesso truffano per lucrare il più possibile sull'impiego dei materiali, consapevoli degli inefficaci (o inesistenti) controlli che verranno messi in atto. Da ultimo è assolutamente impreparata e ignorante la popolazione: pochissimi tra i soggetti che vivono in aree a rischio sono coscienti di farlo. E, quindi, sono assolutamente ignoranti delle più elementari condotte da seguire in caso di terremoti di rilievo, come quello degli ultimi giorni. E anche le scuole, se accanto alla matematica, al latino, alla filosofia, divulgassero maggiormente l'importanze di geologia ed ecologia, non solo formerebbero potenziali amministratori e/o costruttori più consapevoli e saggi, ma fornirebbero agli studenti e alle loro famiglie strumenti per difendersi (e salvarsi) in caso di terremoti devastanti. Tutto ciò va fatto tramite la teoria, ma anche tramite la pratica: esercitazioni concrete, magari da svolgere, a livello simbolico, nelle giornate commemorative dei terremoti più importanti e distruttivi che il nostro territorio ha subito.

Perché, come sempre, la memoria è il primo gradino per salire la scala dello sviluppo. Prima che anche per la Calabria sia troppo tardi.