Minniti, unfit to lead Pd

Minniti Marco nuova  1di Nino Mallamaci* - Non sono anglofilo. Utilizzo l'inglese solo quando ci sono esigenze di materia o se non esiste un termine equivalente in italiano. Faccio un'eccezione, in questo caso, solo per un parallelo che non mi pare azzardato e che riguarda gli Stati Uniti d'America. Spesso si sente dire, in occasione delle elezioni per la presidenza di quel Paese, che sarebbe giusto coinvolgere nella scelta gli abitanti del mondo intero o quasi. Ciò in quanto l'azione del presidente degli USA finisce per avere ripercussioni in ogni angolo del Pianeta. Ecco: il primo motivo per il quale ritengo che, specialmente in questo momento, Marco Minniti sia "inadatto a guidare il PD" risiede proprio nel fatto che il nostro concittadino, come ha dichiarato lui stesso, potrebbe riuscire a compattare il suo partito, ma ciò non è sufficiente. Come accade per gli USA, il segretario del PD non è un ruolo con effetti limitati a quel partito; in questo momento, in cui la sinistra ridotta al lumicino si trova ad affrontare una sfida quasi proibitiva per rialzare la testa, e a meno che non ci sia qualcuno che sia così folle da rispolverare l'idea funesta, di veltroniana memoria, dell'autosufficienza, l'elezione del segretario del PD riguarda tutti coloro i quali avvertono la necessità di ripartire mettendo alla base gli ideali e i principi, da tradurre poi in pratica politica, della sinistra mi verrebbe da dire Vera. Lotta alla disuguaglianza, in primis, il che comporta un cambiamento radicale delle ricette economiche mutuate dal liberismo portate avanti dai Governi ad egemonia PD. Lotta per la tutela e il rafforzamento dei diritti umani, mettendo in primo piano la questione dell'immigrazione da trattare avendo come stella polare la dignità di ogni essere umano da qualsiasi parte del mondo provenga. Non è un caso che anche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna ci sia stata negli ultimi tempi una decisa virata a sinistra del partito democratico e del Labour, con molti candidati, in America, che hanno cominciato ad usare per connotarsi un sostantivo, socialista, fino a ieri estromesso dal vocabolario politico di quel Paese.

Marco Minniti, da questo punto di vista, non è un candidato credibile. Non lo è in quanto espressione di un gruppo dirigente al quale si deve la deriva al centro (o peggio) del PD e al quale si devono le decisioni peggiori nel campo del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Lo è ancora di meno se si pone l'attenzione all'altro grande tema di questi tempi bui, quello dell'immigrazione e dell'accoglienza. La sua tardiva adesione al modello Riace, giustamente stigmatizzata dallo stesso Mimmo Lucano, è assolutamente poco credibile, ed è incoerente con quanto fatto da Minniti da Ministro dell'Interno. Non è un caso che il suo operato sia stato giudicato positivamente soprattutto a destra. E siccome i comportamenti contano più delle parole, specie se tardive, non può essere frutto del destino il fatto che il Ministro dell'Interno reggino non abbia mai trovato un attimo per recarsi a Riace, un paese della sua terra, o per incontrare un uomo percepito da tantissimi, in Italia e all'estero, come il creatore di un modello da imitare.

Ma se vado a individuare un'altra caratteristica a mio avviso indispensabile per ridare fiato a un popolo smarrito e orfano, come quello della sinistra italiana, che il segretario del pd dovrebbe possedere, è quella di riuscire a parlare al cuore di queste persone, perché credo che solo mettendo in campo tale capacità si possa sperare di rivoltare una situazione difficilissima, con un avversario forte e determinato a sfruttare fino in fondo le paure, indotte, dei cittadini. Ebbene, Marco Minniti non può ambire a svolgere questo ruolo cruciale. Intendiamoci: io che lo conosco so perfettamente quanto egli sia intelligente, preparato, colto. Tuttavia, queste sue peculiarità niente hanno a che vedere con la propensione a stare tra la gente, a scaldare gli animi di chi sta combattendo giorno per giorno una battaglia individuale contro la barbarie e ha bisogno di sentirsi parte di un progetto ampio e collettivo. Ha bisogno di comprendere di stare facendo qualcosa di utile, che possa avere uno sbocco concreto. Ha bisogno di galvanizzarsi e di essere galvanizzato, di farsi uno con gli altri che la pensano allo stesso modo e sono uniti da un filo invisibile al quale bisogna dare, però, il respiro di una proposta politica in fieri vincente.

E' la storia di Marco Minniti (la grande amicizia con Cossiga, ad esempio, la passione per i servizi segreti) a dirci che non può essere lui questa figura, ma anche fatti apparentemente poco significativi, come la presentazione del suo libro, dal titolo di per sé indicativo, insieme a Gianni Letta, a D'Alema, ai vertici delle forze di sicurezza, a tutto l'establishment reperibile nella Capitale.

Minniti è uomo d'apparato, cresciuto nella "ditta", candidato mai eletto ma nominato.

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Parteciperà alle primarie del pd, oramai vi è la certezza.

Quel partito ha la responsabilità maggiore per aver agito da "apriscatole", per ricordare il motto dei grillini sul loro arrivo in Parlamento, per portare al Governo dell'Italia – culla del fascismo, fondatrice dell'Europa, tra le prime nazioni al mondo, quindi non poco importante – le forze peggiori della destra più becera e reazionaria, prima allontanando dalle urne il popolo della sinistra per le sue scelte incoerenti con la sua storia, poi per aver sbarrato la strada a una maggioranza diversa. Certamente non la migliore possibile, ma non indecente e pericolosa come quella venuta fuori a seguito del gran rifiuto.

Non pretendiamo troppo se chiediamo ora al PD, dopo una riflessione incredibilmente lenta e incredibilmente focalizzata sul proprio ombelico, di avere un sussulto di responsabilità e di pensare al futuro della sinistra e dell'Italia, di rompere col passato dichiarando nei fatti chiusa una fase storica che ha condotto la sinistra italiana al venti per cento dei voti.

Noi tutti non possiamo fare a meno del PD, e chi lo afferma pecca di velleitarismo e di vocazione all'irrilevanza. E' anche vero, però, che del PD di questi anni non sappiamo che farcene. E, soprattutto, è l'Italia a non volerne sapere, e senza un deciso cambio di rotta la nave affonderà insieme alle nostre speranze.

*Avvocato e scrittore