L'importanza del "frattempo"

Scuola classe desertadi Isidoro Pennisi* - La morte di Vito Grippaldi, in questo momento, richiama alla mente, ovviamente, una parte del "frattempo" della sua vita in cui ha operato nella nostra Scuola di Reggio. Quella parte in cui è stato per me un professore che animava le aule in cui studiavo e poi un collega e un compagno di viaggio nella conduzione della stessa scuola. Una comunità, però, esiste realmente se è capace di riflettere e di confrontarsi con la nascita e con la morte d'ogni suo membro. Ancor più degli eventi che costellano ciò che scorre tra principio e fine, la biografia personale e il contributo a quella collettiva, l'esistere nasconde il suo senso nei due momenti unici e anomali, per chiarezza plastica, di un'avventura terrena: la nascita e la morte. Sono i due momenti in cui noi siamo radicalmente senza scelta, alternative, arbitrio. Nascere o meno, morire oppure no, non sono esiti disponibili alla nostra volontà. Ed è illusorio pensare che la morte lo sia sol perché, volendo, possiamo anticiparne il momento. No. Stabilire il momento non vuol dire poter scegliere se morire oppure no, ma solo modificare i termini d'attesa di un evento cui, al momento, non è dato sottrarci, esattamente come non possiamo farlo con il nascere. La morte di una persona che compone una comunità richiama tutti a verificare, di fronte a questa radicale evidenza, in cui la vita impone la sua dittatura, se e come la nostra libertà di riempire il "frattempo" sia degna o proporzionata a questa forma di oppressione illiberale che la morte impone. Perché è quasi ovvio immaginare che la libertà per cui lottiamo, per la quale viviamo, è in contraddizione con la sua totale assenza proprio nei due momenti dirimenti dell'esistenza. Una contraddizione che non può essere accettata così com'è, ma come tutte le contraddizioni, va misurata, usata, per stabilire i valori o meno di ciò che facciamo. Noi che rimaniamo, noi che continueremo la stessa strada di Vito Grippaldi, usiamo questa libertà senza tener conto del suo valore contraddittorio oppure da questo traiamo conseguenze, valori umani e civili? Io ho l'impressione che i contenuti delle libertà e i privilegi, che abbiamo, li usiamo come se la vita non fosse, al contrario, una dittatura esistenziale e storica. Io ho la netta sensazione che in ogni decisione, noi non prendiamo mai in considerazione la possibilità di ubbidire agli eventi, governandone gli istinti, ma ne massimizziamo l'arbitrio e tendiamo a imporre le nostre autoreferenziali visioni delle cose, che illusoriamente, però, trovano una soluzione di continuità nei fatti e nella realtà. Nei fatti, nelle conseguenze delle nostre decisioni, questa nostra libertà nello scegliere, senza confrontarci con la forza della realtà della vita per com'è, ci consegna risultati scadenti e non in linea con la storia e le possibilità. Vito Grippaldi, con il suo sorriso e la sua indole da uomo buono, come tutti affermano, ha condiviso glorie e miserie della nostra storia, e come tutti noi ha in bene e in male le responsabilità di ciò che abbiamo fatto.

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Quando si muore, quindi, non è in gioco la biografia, che è data e non deve essere modificata a uso e consumo di un cordoglio, ma onorata soprattutto da chi per vicinanza affettiva ne è coinvolto nel dolore. Vito Grippaldi, come altri prima e ovviamente dopo, nell'andare via ci pone invece una serie di questioni, senza volerlo ma senza poterlo evitare. Siamo realmente liberi di fronte alla realtà delle cose? La libertà che abbiamo, ha realmente quei contenuti che ci consentono di scegliere senza porci il problema di ciò che ci precede e di ciò che verrà se non come dati aggiuntivi della decisione da prendere? Siamo sicuri che il "frattempo" tra due momenti in cui non siamo liberi possa avere questa libertà che abbiamo, cui non rinunceremmo mai? Siamo sicuri che obbedire al tempo, agli eventi, per come sono e per come vengono, non piegandoci come servi ma servendoli in piedi, spingendoli lì dove devono andare, non sia più giusto e più proporzionato al modo in cui veniamo e andiamo via dal mondo? Non tanto tempo fa, sull'Aliscafo che ci portava a Reggio Calabria, a me capitò di parlare con Vito Grippaldi della differenza tra Palermo e Catania, tra le due città antitetiche della Sicilia. Calcio, cibo, e quant'altro. Alla fine io gli dissi che Palermo è un maschio. Ancora prova a capire le cose. Non ci riesce, ovviamente, e muore per capire. Catania è femmina. Sa già tutto e ha visto tutto. Sa che è inutile immaginarci diversi da come siamo. Però è pronta a riprovarci: basta l'occasione. Sa che è inutile ma ci riprova, ben sapendo come finisce. Difficile capirsi tra chi non sa e chi conosce tutto. E lui come di solito mi sorrise. Era il sorriso di chi avrebbe detto, se avesse parlato, che stavo esagerando, come quando ero studente, rischiando una risposta che non poteva essere fondata, almeno in quel momento. Questo a me piace. Immaginare che lui mi abbia continuato a considerare uno studente, senza mai dirmelo, proprio per le mie risposte senza fondamento ma verosimili, me lo fa ricordare come tra i pochi che sanno che ancora adesso, io, se potessi, farei solo lo studente. Lo farei sempre dentro quel Cantiere dello Stretto, quella scuola, in cui per anni ho avuto il privilegio di poterlo incrociare. Andiamo avanti.

* Docente universitario