Perchè le persone scrivono?

camilleriandreadi Isidoro Pennisi* - "Perché le persone scrivono?

Quale mania di persecuzione può spingere gli esseri umani a raccontare delle storie?

Qualcuno ha mai visto, tranne il compianto Andrea Pilleri, questo Commissario Furnari?

Qualcuno è passato, volontariamente o per errore, con l'automobile o a piedi, da un piccolo paese della Sicilia che si chiama Calata?

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Tanti hanno conosciuto Furnari, solo che nessuno, tranne Pilleri, si è accorto della sua esistenza. Per gli altri, Furnari è invisibile: e non per colpa sua, ma per la disattenzione di chi l'ha incontrato.

Chissà in quanti sono passati da Calata, andando verso Agrigento, e lì si sono fermati a fare benzina o a prendere qualche cosa di fresco in un bar e non se ne sono nemmeno accorti; o hanno camminato tra le sue strade e le piazze ed è come se non l'avessero mai fatto.

Andrea Pilleri è uno scrittore: al di là se è bravo o meno, o se scrive bene oppure male. E' uno scrittore proprio perché vede le cose che gli altri non vedono o che non si ricordano d'aver visto.

E' uno scrittore perché invece di stare appresso alla realtà per com'è, getta uno sguardo sulla realtà possibile, su quella che potrebbe essere ma non è.

Invece di guardare alle mani di una persona o ai suoi occhi, uno scrittore guarda intorno ai piedi delle persone, per vedere se da quelle parti si trovano eventi che quella stessa persona ha perduto distrattamente.

Tutte ciò che le persone perdono, gli scrittori, normalmente, quando non si atteggiano a filosofi, le raccolgono da terra. E lo fanno in quel momento in cui se ne accorgono, senza sapere che cosa un giorno potranno farsene di quegli eventi smarriti. Poi si vedrà, loro pensano. Hanno fede in quel gesto e si affidano a un'intuizione di meta.

Le storie che si scrivono non sono mai vere ma potrebbero esserlo.

Uno scrittore non si accontenta di raccontare com'è andata l'epopea che portò Cristoforo Colombo ad andare e a sbarcare nelle Americhe.

A uno scrittore interessa raccontare cosa pensava il grande navigatore durante quel lungo viaggio, quali erano i suoi sogni e se aveva un segreto dentro di se.

Uno scrittore non inventa tutto questo, ma lo scopre in una sola e unica maniera: interrogando, proprio attraverso la scrittura, l'anima delle persone, la loro coscienza, che, a quanto si sa, sono le uniche realtà che non lasciano impronte visibili nella storia.

Gli scrittori si occupano di un'altra storia, sconosciuta e negletta, fatta di Moschettieri del Re di Francia, Pupazzi di Legno che parlano, di Mulini a Vento, Giganti con un occhio solo e Grandi Gorghi Marini. Ci parlano di quello che gli uomini e le donne vorrebbero essere e non saranno mai.

Cosa vasta è la vita e vastissimo è l'animo umano.

Per ogni evento accaduto in una certa maniera, con una sua forma, milioni e milioni d'altri accadimenti, frutto dello stesso evento, ma con altre forme, potevano accadere ma non sono accaduti.

Se non ci fossero i racconti, tutte queste possibilità molto probabili, ma non accadute per un'inezia o solo per delle maledette contingenze, non avrebbero alcun destino e forma. Se non ci fosse chi canta le storie attraverso dei disegni di suoni e grafici di vocali, questa vita sarebbe piccola e insignificante.

Andrea Pilleri, allora, anche in quest'ultimo libro, con il quale ci ha lasciato, mette in onda quelle persone che per i casi fortuiti della storia si sono incastrate nella terra che fu dei Siculi e dei Sicani.

Una terra da dove un tempo è risalita la civiltà, ma dove oggi vive della gente lontana da se stessa.

Andrea Pilleri ha finito di riempire il serbatoio del futuro, perché la sola fortuna di uno scrittore, l'unico vanto che, fiero, può mostrare ai propri simili, è quella di non essersi mai dimenticato in vita del tempo che verrà."

*Docente universitario