Morire di Passione

articoloisidorodi Isidoro Pennisi* - "Si prende la questione" chiunque non passi la vita "facendo d'ogni cosa una questione". In Sicilia le questioni non si affrontano, non si analizzano. Si prendono in braccio, o sulle spalle, per portarle di peso, spesso per tutta la vita, fino al posto in cui si è deciso che debbano arrivare. In quella Terra le questioni si sposano. Alle volte s'ingannano pure se, per stare al loro servizio, è utile seguire strade tortuose. Soprattutto si tramandano, che è la sola forma per non tradirle. Non conta l'argomento della questione. Le ingiustizie non si riducono, nella storia e nel tempo, a quelle che ci toccano negli anni che viviamo. Le ingiustizie hanno un senso della storia così maturo che non si fa in tempo a vederne scomparire una, che un'altra prende subito il suo posto. Non è facile "prendersi una questione", qualunque cosa facciate. Se decidete di farlo, però, badate che gli avversari spunteranno in un lampo. Se lo fate, quindi, disponete e curate tutti i mezzi che avete, provvedete al loro migliore impiego, perché dovrete respingere, con l'efficacia più energica e intelligente possibile, chi proverà a spegnervi, in un modo o nell'altro. Non siate superiori e non fate che per causa del vostro disprezzo loro vi sorprendano indifesi, o che l'incredulità nelle loro capacità v'induca a lasciar troppo correre. Sono persone come voi e sono anche di valore, perché seguono, ribaltandone il significato e la direzione, quella tradizione ellenica in cui non si crede che il fine della vita sia la felicità, ma la libertà frutto del valore. Una libertà che in modo deteriore, loro mettono al servizio di se stessi. Scegliere la libertà condizionandola a quella degli altri, combattere contro chi la condiziona solo rispetto a se stesso, è la tragedia più messa in scena lungo quest'Appenino Calabro Siculo, che separa l'alba dal tramonto del bacino del Mediterraneo. Senza glorificare o scusare nessuno degli attori, c'è da dire che tutti siamo parte di questo testo, e che la differenza che corre sta tutta nella verità e nella menzogna, che ci rinfacciamo nell'interpretarla, senza avere una certezza, ma seguendo le lezioni di chi ci ha coltivato senza che noi lo sapessimo. Quando Giuseppe Fava cadde di fronte al Teatro Stabile di Catania, indicarono per quell'omicidio l'incredibile movente passionale. Perché Giuseppe Fava non era uno scrittore, un intellettuale, un giornalista, che dirigeva in quel momento l'unica linea del fronte che si contrapponeva al potere nella città di Catania e nel Paese, ma un adultero. Quelle quattro pallottole alla tempia erano il prezzo che un adultero, se capita, può pagare. Sia la Magistratura, sia le Forze dell'Ordine, sia il Sindaco della città, non ebbero dubbi. Essere un adultero, in una città come Catania, può portare a una morte che non merita nemmeno un funerale pubblico, di Stato. Nella piccola Chiesa di Santa Maria della Guardia, la sua salma fu accompagnata da non tante persone e dal rumore delle onde del mare. Sapere cosa ne pensi Dio degli adulteri lascio che lo dica chi crede di saperlo. A me piace pensare che quel giorno di Gennaio, Dio pensò che quello era troppo. Appena seppe dell'arrivo dell'adultero, per qualche ora lasciò il Suo lavoro (che non so quale possa essere) e si precipitò alla porta della sua Grande Casa per accogliere quel cultore appassionato di femmine (forse) e di giustizia (certamente) rassicurandolo su un fatto preciso. Corrompere gli esseri umani e insinuargli, dentro l'anima, la vocazione alla giustizia, al senso dell'onore, all'onestà materiale e a quella intellettuale, attraverso amplessi proibiti da una qualsiasi Sacra Scrittura, erano azioni che lui non si era mai sognato di proibire, per non rendere vana quella sua grande idea trasformata in vita. Il male è la rinuncia, il rifiuto a correre il rischio di compromettersi nell'amore assoluto per un essere umano, per una femmina o un maschio, per la vita, per le nuvole, per una città, una patria o per un sogno ad occhi aperti. Il male è tradire tutto questo e fare finta di nulla, sperando che una felicità a basso costo sia più consona agli anni a disposizione.

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Allora sì: fu un delitto passionale. Passione vera per la vita, per l'onore di poterla vivere. Fu una Stranizza d'Amuri, per la quale, attraverso strade contorte e aggrovigliate, si può anche arrivare a morire in una sera di Gennaio, senza nessuno al proprio fianco, se non un nome indelebile e l'onore umano da servire.

*Docente universitario