"Sansone": i vertici della 'ndrangheta di Villa San Giovanni scelgono il rito abbreviato

villasangiovannitraghettialto600Incardinata l'udienza preliminare per le 54 persone coinvolte nell'inchiesta "Sansone", l'inchiesta condotta dai Carabinieri nel dicembre dello scorso anno che ha decimato la cosca Condello, egemone nella periferia nord reggina, ma anche quelli della 'ndrina Zito-Buda-Bertuca attiva a Villa San Giovanni. Le accuse mosse dai pm antimafia Walter Ignazitto e Giuseppe Lombardo sono, a vario titolo, quelle di associazione mafiosa, detenzione illegale di munizioni ed armi comuni e da guerra, procurata inosservanza di pena, favoreggiamento personale, ma anche minaccia, danneggiamento e incendio, reati tutti aggravati dall'aver agevolato la 'ndrangheta.

 

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Al momento sono 23 gli imputati che hanno chiesto, al gup distrettuale Filippo Aragona, di essere processati con il rito abbreviato. Si tratta di Araniti Carmelo, classe 1957,Battaglia Michele, classe 1982, Bertuca Felicia, classe 1955, Bertuca Pasquale, classe 1957, Bertuca Vincenzo, classe 1950, Condello Domenico, classe 1972, Condello Luciano, Cristiano Vincenzo, classe 1967, Giustra Francesco, classe 1978, Idone Alessandro, classe 1981, Idone Antonino, classe 1976,Malara Giovanni, classe 1972, Plutino Antonino, classe 1970, Riniti Antonino, classe 1962, Ripepi Giuseppe, classe 1983, Romeo Maria Caterina, classe 1951, Scarfone Alberto, classe 1989
Scarfone Rocco, classe 1989, Sottilaro Antonino, classe 1946,Sottilaro Francesco, classe 1976, Sottilaro Vincenzo, classe 1985, Viglianisi Domenico, classe 1961, Zito Domenico, classe 1954.
L'indagine "Sansone" ha anche smantellato la rete dei fiancheggiatori che hanno permesso al boss Domenico Condello, soprannominato "Micu u pacciu", di trascorrere una latitanza durata oltre 20 anni. Il suo arresto risale al 10 ottobre del 2012. La Dda avrebbe fatto luce inoltre, su almeno venti episodi estorsivi. Lavori piccoli, ma anche grandi opere pubbliche e private che in alcuni casi superavano il mezzo milione di euro, le cosche pretendevano che gli imprenditori si piegassero alle loro richieste. Ma non sempre gli imprenditori erano vittime. Ad essere accusati di associazione mafiosa sono i cugini Domenico e Pasquale Calabrese, per gli inquirenti gravitanti nell'orbita degli Zito-Bertuca. «Nella loro veste, è scritto nel fermo dell'indagine "Sansone", di soggetti imprenditoriali attivi nel settore dell'edilizia residenziale e non, oltre che nel settore delle pulizie, della disinfestazione, derattizzazione e sanificazione, hanno il compito di scrutare il panorama economico e di riferire al sodalizio di ogni nuova iniziativa affinchè i vertici facciano pervenire le richieste estorsive; Inoltre, sulla base di precisi accordi con il capo cosca Pasquale Bertuca si impegnavano a conferire - autonomamente ed automaticamente - parte dei guadagni e degli utili di impresa al sodalizio, senza sottostare ad alcuna forma di imposizione, ricevendone in cambio protezione». Per i pm i cugini Calabresi sono due imprenditori che sono vicino agli ambienti malavitosi tanto da poterli definire «pienamente partecipi degli assetti mafiosi ed assolutamente intranei alla cosca Zito-Bertuca».
Tra gli indagati compare anche il medico Francesco Cellini. Il professionista ricopriva la carica di legale rappresentante della "Anphora" la cooperativa sociale che gestiva la clinica "Nova Salus" di Canitello, sequestrata dai Carabinieri su ordine della Dda guidata da Federico Cafiero De Raho. Cellini è indagato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. All'esito del blitz "Sansone" condotto contro le cosche Condello, Zito e Bertuca, la Dda reggina aveva chiesto l'ordinanza di custodia cautelare in carcere. Per il gip distrettuale Antonino Laganà però non c'erano gli estremi giuridici affinché l'indagato venisse arrestato. Il sequestro però della struttura all'epoca risultó assolutamente necessario. «La condotta di Cellini- scriveva il gip nell'ordinanza- si presenta reiterata e di consistenza tale da meritare l'attivazione dell'apposito procedimento di prevenzione personale e reale, ma non di tale gravità da integrare il delitto contestato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per quanto emerge dagli atti, non è qui messa in discussione l'esistenza di un "sinallagma" tra i "servizi" resi al gruppo e i correlativi vantaggi dallo stesso ottenuti, ma non si apprezza "l'entità" del contributo operato dalla condotta dell'indagato ai fini di consolidamento e sviluppo della cosca Bertuca tale da integrare l'ipotesi concorsuale». Il gip però non si risparmió e stigmatizzó il comportamento tenuto dal medico che per molto tempo, secondo i pm Ignazitto e Lombardo, avrebbe aiutato alcuni esponenti delle cosche reggine e di Rosarno, nonché avrebbe visitato i latitanti Giovanni e Pasquale Tegano, ad uscire dal carcere attraverso il ricovero presso la sua clinica. «Non pare esservi dubbio dell'assoluta consapevolezza dell'indagato- chiosava il gip- di rapportarsi e favorire la cosa Bertuca ( e gli altri interessati che a questa si rifanno per gli stessi fini) sia alla luce dell'affermazione indicata per cui sono primariamente interessati a recarsi presso la clinica gestita dall'indagato solo i soggetti detenuti in carcere ( e non certamente chi à già ai domiciliari) senza contare che Cellini si rapporta non solo con i fratelli Bertuca, ma anche con altri "sodali del gruppo" (Liotta per esempio) a cui chiede all'occorrenza "favori" quale univoco segno della consapevolezza dell'indagato di agire con compartecipi del gruppo Bertuca-Zito(..)La cosa "ancora più grave"- che legittima l'urgente attivazione della procedura di prevenzione, sono poi i "faori ( di natura non meglio specificata) che il Cellini richiede ai Bertuca (e ai sodali della cosca) laddove Liotta "riprende" il medico "ricordandogli" che non si possono assumere due atteggiamenti diversi quando si "chiede" e quando di contro "si dà" ( Liotta: oggi si ricorda e domani si dimentica?). E ancora si devono sottolineare gli "omaggi" che in occasione delle festività Cellini è solito ricevere dal vertice "in persona" della cosca». Comportamenti gravi quindi, ma che per il gip non furono sufficienti a spedirlo in galera.
Durante l'interrogatorio svoltosi davanti al gip, subito dopo il fermo eseguito dai militari dell'Arma del comando provinciale reggino, uno degli indagati decise di intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia. L'indagato Vincenzo Cristiano, infatti diventó a tutti gli effetti un "pentito" è attualmente si trova inserito all'interno di un programma di protezione. Anche per Cristiano i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio. Vincenzo Cristiano, detto "Enzo", è accusato di essere un uomo del clan Zito-Buda-Bertuca attivo a Villa San Giovanni e dintorni. L'accusa mossa nei suoi confronti è quella di associazione mafiosa in particolare, si legge nelle carte dell'inchiesta "Sansone", di essere un «partecipe dell'assetto mafioso facente capo alla cosca Zito-Bertuca, con il compito di trasmettere- su disposizione del Bertuca- i messaggi della cosca agli imprenditori cui veniva richiesto il pagamento del pizzo e di curare le relazioni con gli affiliati alla cosca Codello, al fine di procurare degli incontri chiarificatori fra i referenti delle due cosche di 'ndrangheta, per concordare il riparto dei proventi illeciti ed evitare una duplicazione delle richieste estorsive». In buona sostanza faceva da trait d'union fra le due 'ndrine. Il tutto per evitare di chiedere due volte le estorsioni agli imprenditori che le cosche avevano scelto di vessare. Adesso l'udienza preliminare è stata aggiornata al 25 ottobre quando altri imputati potranno avanzare richiesta di essere processati con la formula del rito abbreviato. Nel contempo ieri i pm antimafia Ignazitto e Lombardo hanno insistito per la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di tutti gli altri imputati alla sbarra che eventualmente dovranno affrontare il dibattimento se il gup disporrà per loro il processo.