18 anni di reclusione al boss Giovanni De Stefano, "Il Principe"

destefanogiovanni600di Angela Panzera - Dovrà passare 18 anni dietro le sbarre Giovanni De Stefano, alias "Il Principe", condannato dal gup distrettuale reggino in quanto ritenuto essere il reggente del clan di Archi, zona alla periferia nord reggina. Non sono i trent'anni richiesti in requisitoria dal pm Stefano Musolino, ma la decisione del gup è comunque una decisione che avvalora l'impianto accusatorio sostenuto dalla Dda dello Stretto. Condanne importanti anche quelle registrate nei confronti degli altri imputati coinvolti nell'inchiesta denominata "Il Principe", appunto, che ruota intorno alle dinamiche criminali del clan De Stefano. Il figlio del "mammasantissima" Giorgio De Stefano fu ammanettato il 22 dicembre dello scorso anno, insieme ad altre persone, a cui la Dda contestò, a vario titolo, le accuse di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni ed estorsione alla ditta impegnata nei lavori di ristrutturazione del Museo Nazionale della Magna Graecia di Reggio Calabria. Il gup distrettuale, all'esito del processo abbreviato, ha condannato Vincenzino Zappia a 13 anni e 4 mesi di carcere (chiesti 15 anni di reclusione e 12 mila euro di multa), Demetrio Sonsogno a 16 anni( chiesti in requisitoria 18 anni e tre mila euro di multa), Fabio Salvatore Arecchi a 2 anni e 8 mesi (chiesti 10 anni di carcere). Escono assolti da ogni accusa invece, Vincenzo Morabito (difeso dai legali Luca Cianferoni e Caterina Fuda) e Arturo Assuma. Entrambi erano accusati di aver commesso l'estorsione ai danni della ditta impegnata nei lavori di ristrutturazione del museo reggino. Nei loro confronti il pm Musolino aveva chiesto una condanna che ammontava a otto anni di carcere e nove mila euro di multa. Assolto anche Francesco Votano; per lui l'accusa aveva invocato una condanna a 9 anni di detenzione. Secondo la Dda e i Carabinieri che hanno condotto l'inchiesta in almeno quattro occasioni, i De Stefano – su input proprio di Giovanni De Stefano – avrebbero preteso la "mazzetta" dalla "CO.BAR.", la ditta impegnata nei lavori di ristrutturazione del museo cittadino, per un totale di quasi 200mila euro. Per il Gup, invece, De Stefano e gli altri devono essere assolti dall'accusa di estorsione: per tale capo di imputazione vengono puniti i soli Demetrio Sonsogno e Vincenzino Zappia.

Ruolo di primissimo livello sarebbe stato comunque rivestito proprio dal "Principe", rampollo della famiglia perché figlio del defunto Giorgio De Stefano e scarcerato nel settembre 2009: in quel periodo, complice la concomitante detenzione dei maggiori esponenti della famiglia, l'imputato avrebbe retto le sorti del clan.

Così i membri della potente cosca De Stefano di Archi avrebbero nuovamente "messo il cappello" sul centro storico di Reggio Calabria, da sempre nelle mani del clan che, più di tutti, riuscirà, negli anni, a fare il salto di qualità sotto il profilo criminale. Le indagini consentiranno, quindi, di dimostrare come la cosca De Stefano abbia come proprio regno la zona centrale di Reggio Calabria, dove insistono le maggiori attività economiche cittadine nonché i palazzi del potere.

Le indagini nascono dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Enrico De Rosa, uomo del clan Caridi-Borghetto-Zindato attivo nella zona sud della città, ì che sarà uno dei soggetti che riceverà le tangenti dalla ditta estorta, la "CO.BAR". Grazie alla storica amicizia con Demetrio Sonsogno, De Rosa entrerà in contatto con gli arcoti e riuscirà a muoversi su più fronti mafiosi fino a quando non deciderà di collaborare con la Dda dello Stretto. Alla luce della sentenza emessa dal gup Laganà l'ex immobiliarista del clan Caridi è stato ritenuto essere un collaboratore di giustizia "credibile". Adesso ci vorranno 90 giorni per attendere il deposito delle motivazioni da parte del gup ma, si può già affermare che con questa sentenza la Dda reggina porta a casa un altro risultato importante nel contrasto al crimine organizzato. Una sentenza importante quindi che questa volta ha comprovato la capacità e il controllo della cosca De Stefano dei principali appalti cittadini.