18 fermi, ma la rete degli Alvaro è molto più ampia: indagati politici, imprenditori, medici e funzionari della Regione

operazioneirisdi Claudio Cordova - Il centro nevralgico sarebbe stato il casolare di contrada Scifà di Sinopoli, ubicata lungo la SS 183 che collega Gambarie a Delianuova, "la casetta" – così indicata dagli indagati – sarebbe stato il ritrovo dei membri della cosca Alvaro, ma anche una meta di "pellegrinaggio" da parte di altri soggetti apparentemente estranei al clan, come il sindaco di Delianuova, Francesco Rossi, tra i 18 fermati dai carabinieri nell'ambito dell'inchiesta "Iris", coordinata dal procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, dall'aggiunto Gaetano Paci e dal sostituto Giulia Pantano. Continue riunioni, mascherate da "mangiate", e da un andirivieni costante di esponenti di tutti i mandamenti di 'ndrangheta presenti nella provincia di Reggio Calabria: la cosca Alvaro di Sinopoli mostra ancora una volta la propria forza e il proprio prestigio criminale, interagendo con i Pelle-Gambazza di San Luca, i Mollica di Africo, i Rugolino di Catona, Ietto di Natile di Careri, Condello di Varapodio, Callea di Ortì, Morabito, federati ai potenti De Stefano del rione Archi di Reggio Calabria, Scopelliti di Melia di Scilla, senza tralasciare le cointeressenze con altri casati tra i quali i Guadagnino e i Papalia di Delianuova, i Mazzagatti di Oppido Mamertina e Larosa di Giffone.

Il monitoraggio della "casetta" ha soprattutto permesso di delineare compiutamente l'organigramma della famiglia Alvaro, confermando le acquisizioni del procedimento "Provvidenza" riguardo alla figura di Carmine Alvaro classe 1968, soprannominato "u pulice", indiscusso capocosca detenuto colpito dal provvedimento cautelare che nel gennaio 2017 ha interessato le principali cosche della Piana di Gioia Tauro. Figure di spicco sono i cugini di Carmine, i fratelli Antonio, Raffaele e Carmine (u bruzzise) Alvaro, che coordinano le attività criminali degli affiliati subordinati ed organizzano gli incontri con i referenti mafiosi di altre articolazioni territoriali della ndrangheta che chiedono di parlare con Alvaro Carmine "u pulice". Alle figure di maggior rilievo se ne affiancano altre: numerosi affiliati, alcuni dei quali già condannati per reati associativi in altri procedimenti, come Giuseppe Alvaro ("u rugnusu"), Giuseppe Alvaro ("u trappitaru"), Carmine Alvaro ("u limbici"), Carmelo Alvaro ("Carmine Bin Laden"), Domenico Alvaro, Paolo Alvaro (cl. 88), Antonino Bonforte ("u topu"), Rocco Calabrò, Francesco Paolo Sergio e Giuseppe La Capria.

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Ruolo centrale nell'inchiesta, quello rivestito da Francesco Rossi, all'epoca vicesindaco e assessore ai lavori pubblici (oggi sindaco di Delianuova e consigliere della Città Metropolitana di Reggio Calabria), anch'egli tra i frequentatori di contrada Scifà: in particolare, nell'ottobre 2013 partecipava ad una riunione in cui affrontava con gli Alvaro – in un clima di piena sintonia e unità di intenti con i vertici del sodalizio – questioni relative agli appalti e finanziamenti pubblici e, più in generale, a problematiche del centro urbano di Delianuova su cui la cosca esercitava la propria influenza mafiosa. In particolare Rossi aveva richiesto un intervento degli Alvaro su alcuni soggetti che ostacolavano la sua gestione amministrativa adducendo presunte violazioni dei patti pre-elettorali da parte del Rossi nella definizione del piano regolatore comunale e della lottizzazione della zona di Carmelia, per condurre alla caduta del governo locale nel tentativo di porsi poi in prima persona alla guida di quella amministrazione comunale. Rossi, in pratica, aveva deciso di portare sul tavolo dei suoi interlocutori mafiosi le diverse questioni che avevano generato gli attriti in seno all'amministrazione comunale, affinché le figure apicali della cosca "ALVARO" si esprimessero nel merito, rinnovando il sostegno a Rossi e interrompendo le condotte ostruzionistiche dei suoi oppositori. In definitiva, l'allora vicesindaco e assessore Rossi ha incarnato il ruolo di referente politico della cosca Alvaro in seno all'amministrazione comunale di Delianuova, "collocato" nella carica pubblica dalla 'ndrangheta per farne gli interessi.

E il Comune sarebbe stato, ovviamente, nelle mani del clan.

L'indagine dei Carabinieri del Nucleo Investigativo ha permesso di documentare compiutamente gli interessi criminali della cosca Alvaro e di quelle che con esse si sono accordate. È il caso, in particolare, della riscossione del "pizzo" per i "lavori di difesa costiera tra Cannitello e Santa Trada ed in particolare in difesa del centro abitato di Porticello" nel comune di Villa San Giovanni, bandito dalla Provincia per un importo complessivo pari a 1,7 milioni di euro, per la ricarica della barriera soffolta già esistente e la realizzazione di nuovi tratti a protezione dell'abitato, particolarmente esposto alle mareggiate e al fenomeno erosivo della costa.

Aspetto di particolare valenza investigativa è il documentato accordo tra diverse compagini 'ndranghetiste: l'illecita dazione è infatti spartita tra famiglie mafiose che si estendono su un territorio vasto che va da Sinopoli, passando per Villa San Giovanni fino a raggiungere Archi di Reggio Calabria: protagonista della vicenda è Domenico Calabrese – già coinvolto nell'indagine "Sansone", uomo inserito nella cosca Zito-Bertuca ma vicino agli Alvaro– che, in qualità di diretto esecutore delle disposizioni impartite da Raffaele Alvaro, per conto di Alvaro Carmine "u pulice", ha riscosso i proventi dell'estorsione ai danni della ditta aggiudicataria dell'appalto provinciale e ne ha consegnato materialmente quota parte proprio alle "famiglie" di Sinopoli e di Archi.

Si tratta di fatti relativi agli anni 2013-2014, ma il fermo spiccato dalla Dda di Reggio Calabria si giustifica perché alcuni atti relativi a quest'indagine sarebbero dovuti confluire (e quindi diventare pubblici) proprio nell'ambito del procedimento "Sansone", comportando quindi un rischio di fuga per gli indagati.

Sono 18 i fermi, ma ben più lungo è l'elenco degli indagati. Tra essi anche un candidato alle regionali del 2014, che avrebbe stretto accordi elettorali con la 'ndrangheta. L'uomo sarebbe un ex consigliere comunale di Reggio Calabria e si sarebbe candidato, non venendo eletto, nei ranghi del centrodestra. La cosca Alvaro, tramite uno dei suoi affiliati, Giuseppe La Capria, avrebbe condizionato anche la concessione delle pensioni di invalidità erogate dall'INPS: pratica che spessissimo richiedono lunghi periodi di attesa e che, nei confronti di una persona di interesse per il clan, si sarebbe sbloccata nel giro di due mesi circa. Così come sarebbe stata sbloccata, tramite la complicità di funzionari regionali, una richiesta (infondata) di accesso al credito sociale per le persone svantaggiate. Politici, medici, funzionari della Regione: tutti soggetti che non vengono colpiti dal provvedimento di fermo, ma che risultano indagati, in quanto gli inquirenti sospettano che facciano parte dell'ampia rete di connivenza su cui avrebbe potuto contare la cosca. Agli Alvaro ci si sarebbe rivolti anche per appianare un contrasto che un giovane laureando avrebbe avuto con un docente dell'Università di Messina.

Una vera e propria società di servizi.

L'episodio, però, che maggiormente testimonia la capacità di infiltrazione della cosca Alvaro è quello inerente i lavori di realizzazione dell'elettrodotto Sorgente-Rizziconi, opera pubblica di interesse nazionale in ragione della finalità di garantire la sicurezza della connessione della rete elettrica siciliana a quella peninsulare per ridurre il rischio di black out in Sicilia, incrementando la capacità di trasporto tra la Sicilia e il continente.

In questo caso, le mire imprenditoriali del sodalizio criminale sono state estremamente pervasive e rivolte direttamente ai settori più remunerativi – movimento terra, trasporto, fornitura di inerti, mezzi e manodopera – arrivando ad assicurare il controllo del cantiere ed ottenendo introiti diretti e indiretti, attraverso le ditte riconducibili al sodalizio, incaricate delle varie forniture e dei numerosi noli.

Di fatto l'indagine ha posto in evidenza l'esistenza di un vero e proprio "accordo" tra la Roda Spa, impresa aggiudicatrice dei contratti da Terna Spa, e alcune ditte di Sinopoli, Sant'Eufemia e San Procopio, tutte collegate o riconducibili agli Alvaro.

Emissari della cosca sono due imprenditori, Saverio Napoli (amministratore di fatto della impresa della ditta Costruzioni Flores Eufemia srl) e Rocco Rugnetta (amministratore di fatto della RR Appalti & Costruzioni srl), che hanno tenuto i contatti con i rappresentanti della Roda Spa e hanno materialmente imposto le ditte subappaltatrici, i fornitori di ferro e calcestruzzo e i servizi di cantiere in genere, assegnati, su disposizione del clan, a ditte "gradite" e ovviamente a prezzi e condizioni più sfavorevoli rispetto a quelli di mercato. In particolare, Rugnetta assume il ruolo di garante della "sicurezza ambientale", "proteggendo" le ditte Terna e Roda – rispettivamente committente e appaltatrice – da danneggiamenti o intimidazioni; ma è anche il "mediatore" con la pubblica amministrazione per la risoluzione di problematiche legate a violazioni di carattere amministrativo riscontrate dal Comune di Sinopoli nel suddetto cantiere, intervenendo e, in definitiva, facendo distruggere i relativi verbali di accertamento e contestazione di alcune infrazioni elevate a carico della Roda Spa. A conferma dell'elevata caratura criminale raggiunta dagli Alvaro è il dato relativo alla totale assenza, nel corso dei lavori relativi all'appalto, di episodi di danneggiamento e atti intimidatori; aspetto, quest'ultimo, tanto più emblematico in considerazione dell'alta densità mafiosa dell'ampio contesto territoriale interessato dall'appalto. Parimenti, in più occasioni sono le ditte del territorio a rivolgersi agli Alvaro per chiedere di essere incluse nelle imprese interessate dalle forniture di beni e servizi, così riconoscendo di fatto alla 'ndrangheta il potere di regolamentazione dell'accesso ai subcontratti e, più in generale, il controllo sulle attività economico-produttive nei territori in cui insiste la realizzazione dell'opera pubblica.

Alla luce delle complessive risultanze investigative è stato eseguito il sequestro preventivo delle seguenti società – con relativi patrimoni aziendali, quote sociali e conti correnti – riconducibili agli odierni indagati, come pure il casolare nella disponibilità della famiglia mafiosa:

1. R.R. APPALTI E COSTRUZIONI S.r.l.

2. Ditta Costruzione Flores Eufemia s.r.l.

Immobile ubicato in Sinopoli c.da Scifà